Circa trenta migranti, tutti maghrebini e trentenni. Lavoratori stagionali, impegnati nella raccolta delle arance nei campi della Sicilia orientale. Erano loro che da meno di tre settimane e fino a oggi occupavano un terreno abbandonato ma di proprietà privata, in contrada Falconieri, a Paternò. Finché non sono stati sgomberati questa mattina, intorno alle sette, dalle forze dell’ordine. I vigili urbani paternesi, assieme ai carabinieri, sono intervenuti con una ruspa per distruggere le tende e i teloni di nylon che i lavoratori avevano piantato per proteggersi dalla pioggia. Sarebbe stato il proprietario dell’area, con la sua denuncia, a dare il via all’intervento. «Non hanno dato loro neanche il tempo di prendere gli effetti personali», racconta Rosario Di Benedetto, attivista locale che ha seguito la vicenda. «Hanno solo ciò che avevano addosso», continua. «Io non ne ero a conoscenza, si sarebbe dovuta rispettare la dignità delle persone», commenta Salvatore Galatà, assessore ai Servizi sociali del Comune. «Per fortuna c’è una scuola chiusa da oltre un anno a breve distanza dalla zona. È la Falconieri, prende il nome dalla contrada e dalla via in cui si trova. In passato è stata vandalizzata e distrutta, questi poverini sono entrati, hanno dato una pulita e hanno cercato di sistemarsi lì in attesa di trovare una soluzione migliore», interviene Alfonso Di Stefano, della Rete Antirazzista catanese.
«Questi uomini sono a Paternò da 15, forse 20 giorni – racconta Di Stefano – Ma il maltempo ha permesso loro di lavorare solo lunedì e martedì. Non avevano i soldi neanche per un panino». Non vengono dalla Sicilia: qualcuno dal Nord Italia, qualcun altro dalla Puglia. Di mestiere stanno nei campi. Adesso, nel Paternese e non solo, raccolgono le arance. «Mi hanno spiegato che lavorano con casse da venti chili, ne riempiono e trasportano tra le 60 e le 70 al giorno, se va tutto bene. Li pagano 60 centesimi a cassa, faccia il conto». Trentasei euro al giorno, per lavorare dalle sei del mattino alle cinque del pomeriggio, e mangiare nei campi. «I caporali li vengono a prendere coi camion, li portano fino a Scordia. Il trasporto non è gratis: gli immigrati pagano cinque euro a tratta». Cinque all’andata e cinque al ritorno, dieci euro da sottrarre ai già magri guadagni.
Per evitare la pioggia e stare riparati questi 30 uomini si erano costruiti alcune tende e avevano steso dei teloni di nylon sulla terra, «li usavano come giacigli». Poche cose, trascinate via dalle ruspe delle forze dell’ordine. «Non sapevano dove andare, finché non hanno scoperto che c’era questa scuola abbandonata all’interno della quale potevano ripararsi. Era tutto spaccato, così hanno scavalcato e sono entrati», spiega Di Stefano. Una soluzione solo temporanea, mentre la Caritas e altre associazioni locali di volontariato garantiscono ai lavoratori, adesso sfollati, un pasto caldo. «Questa non è un’emergenza – ci tiene a spiegare l’attivista – Ogni anno si ripete il dramma degli immigrati sfruttati, della mancanza di luoghi di accoglienza, del lavoro nero e del caporalato. Bisogna pensare prima alle soluzioni, non a posteriori». E gli interventi di sgombero non servono ad arginare i problemi: «Perché questi zelanti tutori dell’ordine se la prendono con l’ultimo anello della catena e non fanno rispettare la legge anche a caporali e padroni? Perché non si prova a farlo emergere, questo lavoro nero, anziché criminalizzare chi ci è costretto?».
Nel frattempo, «il Comune di Paternò non ci ha sbattuto la porta in faccia e sembra che stia tentando di trovare una soluzione». «Dall’amministrazione sono arrivati segnali di apertura», conferma Rosario Di Benedetto. È l’assessore ai Servizi sociali di Paternò, Salvatore Galatà, ad aver preso a cuore la questione: «Io sono fuori per lavoro da alcuni giorni, e non sono stato informato di questo sgombero – dice – Questo punto sarà uno dei primi che discuterò al mio ritorno in Comune». Perché per lui «far rispettare la legge e ripristinare la legalità è assolutamente un atto meritorio, ma la dignità delle persone merita altrettanto rispetto. Interventi come questo vanno concertati, discussi e preparati meglio». Non bisogna, cioè, arrivare direttamente con le ruspe al mattino presto: «Avremmo trovato delle soluzioni che non li penalizzassero». «So che nei giorni passati una rete di singoli cittadini, spontaneamente, ha portato a questi lavoratori cibo casalingo e vestiti. Siamo una società schizofrenica: prima ci lasciamo andare a slanci umanitari, poi ci riscopriamo rigidi e legalitari», continua. E adesso c’è da trovare una sistemazione a questi trenta uomini che, per il momento, dormono in una scuola: «Io per primo sono rimasto sconvolto, ma non possiamo pensare di fermarci qui. Ci sono state le ruspe, ora è il momento di un aiuto concreto per il loro futuro».
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