«Ho avuto la possibilità di seguire Steve per 15 giorni, perché in quel periodo stava lavorando per la stessa agenzia con la quale collaboro io a Milano. Alla fine di quest’esperienza lui, spontaneamente, mi ha fatto il ritratto diventato ormai celebre e scattato dietro palazzo Biscari, a Catania. Ma mai avrei pensato di vederlo in mostra». Così Bruno Ulisse D’Andrea, fotografo di Marinella Selinunte, nel Trapanese, che nell’estate del 2011 ha accompagnato il fotoreporter statunitense Steve McCurry durante il viaggio in Sicilia e che fa ora parte di una famosa gallery di ritratti. In queste ore, dopo la pubblicazione dello scorcio di via Plebiscito sul profilo Instagram del maestro, sono in molti a chiedersi se McCurry sia tornato in città o se si tratti di uno scatto del vecchio viaggio, di cui D’Andrea racconta a MeridioNews alcuni particolari.
«L’incarico era un servizio sulle tradizioni religiose della settimana santa e, considerato che ho fatto dei lunghi lavori sul tema, l’agenzia mi ha chiesto di accompagnarlo. Poi lui è voluto rimanere un’altra settimana per esplorare e così abbiamo fatto due volte il giro dell’Isola». Un percorso tra le feste sacre più caratteristiche, in cui D’Andrea ha avuto la possibilità di osservare le tecniche e l’approccio all’arte fotografica di McCurry, che lui descrive come «uno stakanovista, nonostante l’età».
«Il posto che sembra essergli piaciuto di più è senza dubbio Catania, nonostante cercasse un po’ più di action, come la chiama lui, di azione. Ma è chiaro che la Sicilia non è l’India, dove’è abituato a scattare. L’Etna e il suo hinterland, ad esempio, per lui erano troppo deserti. In città – continua D’Andrea – è stato quasi mezza mattinata a fotografare gli anziani che giocavano a carte sotto gli archi della marina. Poi è andato in via Plebiscito e ha fatto anche delle foto alle coppie della villa Bellini, parte di una sua lunga ricerca sui fidanzati sulle panchine».
A colpire il professionista siciliano è stata poi la passione dell’anziano collega. «McCurry lavora duramente e, nonostante sia più grande di me, è stato difficile stargli dietro mentre camminava su e giù per i cortei delle processioni. Aveva una concentrazione estrema, sembrava essere su un suo personale pianeta mentre guardava il soggetto. Dava molta importanza alla ricerca della luce e delle forme. Un lavoro incredibile, come uno scandaglio. Ma più che altro – continua D’Andrea – ho ammirato il suo modo di porsi quando voleva fotografarti: aveva uno sguardo che ti lasciava arrendere, ti ipnotizzava e riusciva a mettere chiunque a proprio agio. Anche me che non amo stare da quella parte dell’obiettivo», racconta.
Ma è un aneddoto finale a racchiudere forse meglio di altri la tecnica di uno dei più grandi fotoreporter di guerra degli ultimi anni: il racconto dei suoi strumenti del mestiere. «Steve girava solo con una Nikon D4s – conclude D’Andrea – un obiettivo 24/70 2.8 e un flash che non ha mai usato. Niente di più. Tutto un altro stile rispetto ai miei colleghi che vedo girare con zaini pesantissimi, pieni di ottiche».
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