«Questa è una situazione pirandelliana tipica della Sicilia», commenta a caldo il chimico Eugenio Cottone. Sono passati cinque mesi dalla raccolta firme effettuata dai volontari per smuovere la situazione di stallo in cui versa il parco di Acqua dei Corsari intitolato a Libero Grassi, divenuto negli anni una discarica abbandonata. Ma da allora persiste il solito immobilismo. «Formalmente e giuridicamente un sito per essere inquinato deve essere sottoposto alla cosiddetta analisi di rischio, se no è semplicemente sospettato di essere inquinato», spiega l’esperto, che prosegue: «La situazione dei due parchi di Palermo – dice, riferendosi anche a parco Cassarà – è che non sono state effettuate le analisi di rischio e vengono considerati quindi inquinati e da bonificare senza che non sia mai stato dimostrato che ce ne sia realmente bisogno». Secondo Cottone, a non essere ancora del tutto chiari sarebbero addirittura i concetti di fondo legati a questioni come quella di parco Libero Grassi.
I rifiuti abbandonati sul suolo pubblico devono essere rimossi per obbligo di legge, perché deve prevalere la tutela della salute pubblica, che si tratti di un rifiuto potenzialmente rischioso o meno, «ma i rappresentanti del Comune sono totalmente fuori dalla normativa e si sono inventati che se si butta qualcosa per strada poi si dovrebbe fare la caratterizzazione – dice l’esperto, rincarando la dose – Sono completamente fuori strada e siccome non interviene mai un terzo giudice su questa situazione, sono loro che a vicenda si rassicurano sull’essere sulla giusta strada». Ad aver contribuito a creare e ad alimentare lo stato di standby è stata soprattutto la rilevazione di tracce di ddt nel terreno dell’area in cui dovrebbe sorgere il parco urbano: «Sarà stato spruzzato 30 o 40 anni fa. Ma il fatto di averlo trovato – spiega ancora il chimico – implica semplicemente che non si potranno fare coltivazioni di tipo alimentare in quel terreno, non impedirebbe in alcun modo l’andare a correre nel parco o assistere a uno spettacolo nell’anfiteatro». Se non si ragiona in questi termini, secondo Cottone, occorrerebbe bonificare ogni metro quadrato della terra.
A rammaricare ulteriormente l’esperto è il fatto che, a suo dire, numerosi casi italiani simili alla vicenda di parco Libero Grassi tendano a essere contraddistinti sempre di più «dalla supponenza e dall’ingerenza di soggetti che non hanno alcuna competenza». Cosa che non lascia ben sperare. L’area di Acqua dei Corsari, tuttavia, è già stata sottoposta a caratterizzazione, la classificazione cioè dei rifiuti. Il passo successivo dovrebbe essere proprio l’analisi di rischio, fondamentale per capire come e quanto influirebbe la presenza di eventuali elementi inquinanti. Ma a chi spetta predisporla? «Se il Comune ha fatto dei lavori, significa che gli è stata consegnata l’area, la responsabilità a quel punto transita a lui – continua Cottone – Qui invece si continua a dire che l’area è della Regione, ma se è così com’è che il Comune allora ha fatto dei lavori?».
Secondo l’esperto una soluzione per sbloccare la situazione potrebbe essere la richiesta formale di sito inquinato, che imporrebbe l’analisi in questione. «Siamo all’assurdo, l’ignoranza scientifica italiana qui viene dichiarata cultura umanistica – conclude il chimico – L’inquinamento non è l’introduzione di una sostanza nell’ambiente, come pensa la maggior parte della gente, piuttosto si ha quando questa introduzione altera l’utilizzo dell’ambiente o ne impedisce l’uso. C’è un’incultura scientifica diffusa e di questi argomenti ne parla gente che non ha assolutamente idea di quello di cui sta parlando».
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