«Nelle acque di Lampedusa si sta vivendo un nuovo olocausto, un sacrificio umano al quale si assiste giorno per giorno sotto il silenzio generale». Usa di nuovo la parola «olocausto» Pietro Bartolo, il medico che da anni è impegnato nella prima assistenza ai migranti e descrive la terribile situazione vissuta da chi ogni giorno perde la vita nel tentativo di approdare sulle nostre coste. La platea è composta dagli studenti che partecipano al progetto educativo antimafia al cinema Rouge et noir di Palermo promosso dal centro studi Pio La Torre.
«In trent’anni di lavoro di assistenza ai migranti ho assistito a scene terribili e drammatiche riguardanti donne, bambini e uomini – ha detto Bartolo -. Molti arrivano a Lampedusa dopo viaggi che possono durare anche anni, in cui sono costretti a subire violenze indicibili. Sono uomini con le loro storie, le loro sofferenze, i loro sogni. Ma, purtroppo, grazie ad una disinformazione mediatica perpetrata da parte di politici e giornalisti, si cerca di diffondere il terrore, la paura, i pregiudizi nei confronti di questi migranti, raccontando enormi bugie che terrorizzano la gente. Nel 2016 sono arrivate 180mila persone, numeri che non sembrano proprio compatibili con una paventata invasione straniera, una bugia come quella che gli immigrati sarebbero i responsabili della diffusione di malattie infettive mortali. In oltre trent’anni non abbiamo mai riscontrato malattie infettive gravi tra chi è sbarcato».
Nel corso della conferenza moderata dalla giornalista Lidia Tilotta che con Pietro Bartolo ha scritto il libro Lacrime di sale, ci si è soffermati anche su un altro luogo comune che spesso si accompagna all’immigrazione: che ad accogliere il maggior numero di rifugiati siano soprattutto il nostro paese e l’Europa. L’84 per cento dei rifugiati (65,6 milioni nel 2016) è invece accolto in paesi del cosiddetto Terzo mondo, dodici anni fa era il 70 per cento. L’Europa ne accoglie meno del 10 per cento, secondo i dati del rapporto annuale Unhcr 2016 esposti alla conferenza da Maurizio Ambrosini, docente dell’Università di Milano. «I paesi più coinvolti nell’accoglienza sono Turchia (2,9 milioni), Pakistan (1,4 milioni) e Libano (un milione, ma le fonti locali parlano di 1,5-2 milioni). Seguono: Iran (979.000), Uganda (941.000), Etiopia (792.000). Gli attuali flussi verso l’Europa, globalmente modesti e selettivi, hanno a che fare con la crisi dei sistemi di accoglienza nei paesi di primo asilo e con l’insufficienza dei finanziamenti delle agenzie internazionali. In rapporto agli abitanti: il Libano è la nazione che ne accoglie di più con circa 169 (esclusi i palestinesi) per 1.000 abitanti; la Giordania supera gli 80; la Turchia sfiora i 40. In Europa: Svezia e Malta si attestano intorno ai 30. L’Italia circa al quattro».
E sulle soluzioni per gestire il flusso dei migranti, Ambrosini aggiunge: «Serve una governance mondiale o almeno europea delle migrazioni – sottolinea – bisogna fare in modo che i canali legali di ingresso diventino più convenienti di quelli irregolari. Inoltre bisogna favorire e non ostacolare i ricongiungimenti familiari e lavorare sull’integrazione nel quotidiano, non solo su emergenza e povertà». A partecipare all’incontro anche Rosa Rizzo, dirigente scolastico del Liceo Galilei di Palermo che ha sottolineato il ruolo della scuola nel processo di integrazione.
Testimonianza diretta delle difficoltà e dei percorsi vissuti da un immigrato è stata data ai ragazzi da Osas, ragazza nigeriana che da più di dieci anni vive a Palermo, dove adesso presiede un’associazione, Le donne di Benin City- Palermo che si occupa di tutelare le ragazze nigeriane vittime di tratta. «Lasciare il mio paese per venire qui è stato difficile è pericoloso, e, come me, molte ragazze affrontano questo viaggio rischioso, pieno di violenza. Spesso sono vendute dai genitori e una volta arrivate qui sono costrette a prostituirsi sotto minaccia di morte da parte delle maman nigeriane».
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