Palermo e l’Amia, chiudere un capitolo disastroso

L’Amia è fallita. E insieme è naufragata l’idea che si possa distribuire stipendi senza restituire servizi. Riempire una società di amici e clienti, rendere il posto ereditario alla maniera medioevale e poi schiacciare di Tarsu la comunità dei cittadini per far quadrare i conti. Un disastro.

E’ fallita l’idea di utilizzare strumenti come le spa ideate per rendere veloci e snelle le attività e poi trasformarle in bancomat per gli amministratori o uffici di collocamento per i politici protettori.

Adesso il servizio di igiene urbana è affidato a chi non avrebbe dovuto occuparsene neanche per un giorno: i curatori fallimentari. L’Amia non è un’azienda come altre, con il suo fallimento non ha cessato di erogare i suoi scarsi servizi, non ha cessato perché non può. L’Amia è un’anomalia giuridica spacciata per società per azioni. Ha un solo socio, il Comune di Palermo; ha quasi un solo cliente, il Comune di Palermo. Si occupa in regime di monopolio di un servizio che non potrebbe interrompersi: la rimozione dei rifiuti. Senza indugi dunque il servizio deve passare all’Amministrazione comunale di Palermo.

L’Amia non doveva neanche essere affidata a dei commissari così come è avvenuto per quasi tre anni. La città paga prezzi devastanti in termini di igiene e decoro e questo mostro giuridico e aziendale è stato sottratto a ogni regola e condizionamento del suo stesso proprietario: la città di Palermo, per il tramite del suo Sindaco, e dell’amministrazione.

Il Prefetto di Palermo non ha brillato nei mesi di agitazione selvaggia. Un modello già visto all’opera lo scorso anno: una settimana di sciopero, ha provocato due mesi di disagi. L’Amia e le sue maestranze non sono state solo guidate male, hanno anche reso un pessimo servizio alla città. Bastava girare per le strade di Palermo nei mesi precedenti lo sciopero per avere plateali conferme.

Transitare dai ruoli dell’Amia a quelli del Comune non risolve il problema dell’efficienza della prestazione del lavoro. E siccome nel passato si è fatta clientela perfino creando uno squadrone di controllori degli operatori Amia, il sistema dovrà essere diverso.

Al tempo della disoccupazione dilagante, di famiglie private di ogni reddito e protezione diventa intollerabile, per le migliaia e migliaia di senza lavoro, che dei loro concittadini percepiscano il reddito senza restituire lavoro. Lo ricordino gli stipendiati Amia. Gli occhi della città disperata sono su di loro, quelli dei cittadini esasperati sono puntati sui servizi che dovrebbero erogare.

Siamo dentro la stessa comunità, cittadini della stessa città. Ma se chi deve remare per far andare la barca alza i remi o fa finta di muoverli non potremo che affondare. Tutti quanti.

 

 

Aldo Penna

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