I lavori di recupero e riqualificazione del
palazzo di cemento, al viale Moncada 3 a Librino, procedono sì ma a rilento. Al momento, sarebbero completati per il 70 per cento, nonostante i ritardi accumulati negli ultimi mesi. Dopo il ritrovamento nei vani ascensore e nei piani alti di arsenali di armi e ordigni e il blocco dovuto ai mancati pagamenti che avevano portato i lavoratori a scioperare la scorsa estate, adesso alla base della lentezza degli interventi di risanamento ci sarebbe l’insufficienza di manodopera impiegata dalla ditta che si è aggiudicata l’appalto. «Al momento, ci sono quattro o cinque operai che sono pochi rispetto al numero che servirebbe per gli interventi previsti», lamenta a MeridioNews l’assessore ai Lavori pubblici, Pippo Arcidiacono.
Ex centrale dello spaccio – che si è spostata nell’edificio di fronte – in mano alla
famiglia mafiosa degli Arena, il palazzo di cemento – con i suoi 52 metri d’altezza per 16 piani – risale agli anni Ottanta ed è passato, nel tempo, da simbolo del degrado del quartiere dormitorio della periferia sud-est della città ad auspicato emblema della legalità. Adesso, per i lavori annunciati alla fine del 2016 c’è una scadenza perentoria fissata entro fine luglio. «Altrimenti ci saranno penali che non finiscono più e non faremo sconti a nessuno», continua Arcidiacono facendo riferimento al fatto che una proroga è già stata concessa alla ditta per il problema avuto con i pagamenti da saldare da parte del Comune, che si è poi sbloccato a settembre. «Adesso non accetteremo più nessuna scusa per gli eventuali ritardi nella consegna di quanto previsto dal contratto – conclude – I lavori sono già a buon punto e i tempi possono essere tranquillamente rispettati, volendo anche anticipati, visto che il nostro margine sulle consegne è stato piuttosto largo».
Alla base della lentezza dei lavori, dunque, ci sarebbe una insufficienza di manodopera. «Rispetto ai lavoratori presenti a luglio, prima dei problemi con i pagamenti che poi siamo riusciti a sanare – ricorda a MeridioNews Domenico Murabito, segretario organizzativo della Filca Cisl Catania – il numero è stato praticamente dimezzato. Noi monitoriamo la situazione per garantire, da una parte, il pagamento degli operai e, dall’altra, il completamento dell’opera. Per il momento – aggiunge – non ci sono sirene dall’allarme da fare partire per quanto riguarda l’aspetto economico retributivo e le condizioni occupazionali». In pratica, dopo il pagamento delle spettanze in arretrato di cinque mesi, i lavori sono ripresi ma procedono con lentezza per «l’esigua forza lavoro dovuta al fatto che dopo le dimissioni per giusta causa di alcuni lavoratori – conferma il segretario generale della Filca Cisl Catania, Nunzio Turrisi – la ditta non ha proceduto a fare nuove assunzioni».
La ditta che ha in mano l’appalto è la
Salvatore Coco con sede a Paternò, e gli operai in questa fase sono al lavoro all’interno della torre di cemento nei piani alti per ristrutturare i 96 alloggi da destinare ad abitazioni popolari. «L’impresa sta lavorando e contiamo entro luglio di completare e consegnare gli appartamenti – assicura Salvatore Marra, il responsabile unico del procedimento – Alcuni sono già in fase di finitura della pittura e in altri si stanno montando gli infissi. I ritardi sono stati dovuti anche a dei problemi di consegna dei materiali da parte di alcuni fornitori – motiva il Rup – ma è comunque un rallentamento che, in generale, incide solo del dieci per cento sul tempo contrattuale». Per i piani inferiori dell’edificio che, nel progetto iniziale dell’opera – redatto dall’architetto Giacomo Leone – sarebbero dovuti essere destinati a uffici e sedi di associazioni, al momento non c’è una destinazione precisa. «Stiamo aspettando di riuscire a perfezionare un altro finanziamento perché i fondi a disposizione adesso sono quelli stanziati dalla ex Gescal (Gestione case per i lavoratori, ndr) che, quindi, possono essere utilizzati unicamente per realizzare alloggi». Poco più di sei milioni di euro del Patto per Catania, firmato nell’aprile 2016 dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi e dall’ex sindaco Enzo Bianco.
A realizzare l’opera, nel 1981, è stato l’imprenditore
Francesco Finocchiaro, indicato come uno dei quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa da Pippo Fava, il giornalista ucciso dalla mafia nel gennaio del 1984. Nel progetto iniziale dell’opera, i primi due piani dell’edificio sarebbero dovuti essere destinati a uffici e associazioni. Gli altri, come è anche adesso, sono invece destinati ad alloggi popolari: sei per ogni piano, per un totale di 96 abitazioni da assegnare ad altrettanti nuclei familiari con graduatoria pubblica. «Durante l’ultima riunione specifica sul tema che abbiamo avuto con il Comune lo scorso autunno – riferisce Giusy Milazzo, segretaria regionale del Sindacato nazionale unitario inquilini e assegnatari (Sunia) della Cgil – abbiamo firmato un accordo sulla destinazione finale degli alloggi che andranno a persone già inserite in due diverse graduatorie comunali che esistono e sono bloccate da diversi anni: due terzi – precisa Milazzo – andranno a chi vive in situazione di emergenza abitativa e un terzo andrà, invece, alle persone che hanno subito degli sfratti».
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