Sono stati condannati all’ergastolo Massimo Merlo e Massimo Di Maria, ritenuti i componenti del gruppo di fuoco che la mattina del 14 novembre del 2014 in via Cassarà, ad Adrano, uccise a colpi di pistola Maurizio Maccarrone, 43 anni. La sentenza è stata emessa nella tarda mattinata di oggi dalla prima sezione penale della corte d’assise, presieduta da Concetta Spanto con Daniela Maria Monaco Crea giudice a latere. La pubblica accusa era rappresentata dalla magistrata Assunta Musella .
Massimo Merlo sarebbe stato l’uomo che ha premuto il grilletto, mentre il licodiese Massimo Di Maria si trovava alla guida dello scooter. I due soggetti quel giorno agirono con il volto coperto da casco integrale ma vennero ripresi dalle telecamere di sorveglianza. A occuparsi del caso gli agenti del commissariato di polizia di Adrano con i colleghi della Squadra mobile di Catania. Decisive anche le dichiarazioni fornite dal collaboratore di giustizia Gaetano Di Marco, storico esponente del clan Scalisi, articolazione della cosca mafiosa dei Laudani. Insieme a lui hanno svelato aneddoti e dettagli anche i pentiti Orazio Farina e Vincenzo Pellegriti.
Da subito la pista battuta dagli inquirenti escludeva il movente mafioso, indirizzando le indagini a quello passionale. Mandante dell’omicidio sarebbe stato Antonio Magro, esponente del clan Morabito–Rapisarda di Paternò. Quest’ultimo giudicato con rito abbreviato è stato condannato a 30 di carcere. Una condanna confermata qualche settimana fa anche in appello, nello stesso giorno in cui proprio Magro veniva giudicato colpevole anche dell’omicidio del boss ergastolano Salvatore Leanza, legato al clan Assinnata .
Secondo il pentito Di Marco il mandate del delitto avrebbe provato una forte gelosia nei confronti della vittima. Colpevole di intrattenere una relazione sentimentale con una donna in passato legata a Magro. Ed è per questo motivo che sarebbe partito l’ordine di uccidere Maccarrone. Raggiunto da cinque colpi di pistola sparati alle spalle da distanza ravvicinata con una calibro sette e sessantacinque, mentre si trovava vicino alla propria abitazione nel quartiere Cappellone.
Diversi i riscontri degli inquirenti. In particolare, nel corso di una conversazione ambientale Merlo ricostruiva, a voce bassa, le fasi del delitto: «Ci i’ d’arreri… n’aricchi accussì… PUM (imitando il rumore di un colpo d’arma da fuoco, ndr) …e gridava…gridava … ittava vuci». La corte d’assise ha condannato gli indagati al risarcimento dei familiari di Maccarrone con una provvisionale di 40mila euro. Gli avvocati dei due imputati, Roberta Castorina e Giuseppe Milazzo per Massimo Merlo e Giuseppe Rapisarda e Roberta Fava per Massimo Di Maria, hanno annunciato ricorso al secondo grado di giudizio.
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