«Più i tre soci cercavano di sfuggire, più la morsa degli indagati diveniva stretta, fino arrivare alle minacce esplicite soprattutto da parte di Pruiti». È quanto si legge nelle 36 pagine dell’ordinanza della giudice per le indagini preliminari Rosa Alba Recupido del Tribunale di Catania, che ha portato all’arresto di nove persone accusate di aver avuto un ruolo nella criminalità organizzata attiva sui Nebrodi. Per loro l’accusa è di associazione mafiosa e tentata estorsione, ai danni di privati interessati ad acquisire terreni tra Cesarò e Troina.
Secondo la Procura, gli affari dei clan – ostacolati dal protocollo di legalità promosso dal presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci a marzo 2015, che ha aumentato i controlli sui titolari di concessioni demaniali, utili ad attirare finanziamenti europei – sarebbero dovuti ripartire dall’acquisizione a tutti i costi di centinaia di ettari di terreno. Appezzamenti da ottenere mediante prestanome, ma soprattutto convincendo – con le buone ma soprattutto con le cattive – chiunque avesse pensato di portare avanti trattative legali per l’acquisto.
Tra i più attivi in questa opera persuasiva c’era Giovanni Pruiti, fratello dell’ergastolano Giuseppe. Gestore di una macelleria a Cesarò sarebbe stato tra gli esecutori delle intimidazioni e dei pestaggi ai danni di tre imprenditori agricoli. È lui che, secondo gli inquirenti, «consiglia “vivamente” a uno degli allevatori di abbandonare l’acquisto dei terreni», minacciando di «struppiarli». Pruiti avrebbe fatto il doppio gioco: da una parte minacciando, dall’altra ritraendosi come colui che aveva fatto sì che gli altri sodali fino a quel momento non erano passate alle maniere forti.
Pruiti è stato intervistato negli scorsi mesi dall’inviato de Le Iene, giunto sui Nebrodi per raccontare l’atmosfera dopo l’agguato ad Antoci, rimasto illeso a maggio dello scorso anno grazie all’auto blindato e alla prontezza della scorta. «Ma quale mafia, dove è questa mafia a Cesarò?», diceva ai microfoni della trasmissione televisiva di Italia Uno e mostrando le mani, come prova del presunto lavoro nei campi. Per poi aggiungere che l’attentato ad Antoci magari aveva tutt’altra matrice: «Secondo me è tutto imbrogliato, è tutta politica».
Sorvegliato speciale, Pruiti viene descritto comunque come un sottoposto di Salvatore Catania, brontese ritenuto il capo della mafia nel territorio. Pruiti avrebbe fatto il lavoro sporco. Suo il coinvolgimento in due delle aggressioni subite dagli allevatori che stavano acquistando dei terreni sui quali Catania e Pruiti avevano puntato gli occhi. Come quando, lo scorso 10 febbraio, nei pressi di una bar di Cesarò avrebbe minacciato uno degli allevatori di recedere dal preliminare contratto di vendita. E per fargli capire che faceva sul serio gli avrebbe morso un orecchio. Ultimo episodio inquietante di una serie che nel corso del tempo ha visto anche il furto e l’uccisione di animali delle vittime: come quando avrebbe fatto sgozzare quattro maiali per poi usarne il sangue per disegnare tre croci.
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