L'operazione, che ha portato all'arresto di 16 persone accusate di appartenere al mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, fa emergere i dettagli dell'attività criminale. «Avevano creato una sorta di produzione in proprio e di consorteria territoriale per passare direttamente dal produttore allo spacciatore»
Monte Reale, dalla droga i principali guadagni Tra spaccio, piantagioni e coltivazioni in house
La retata antimafia scattata questa mattina, in seno all’operazione denominata Monte Reale e che ha colpito il mandamento di San Giuseppe Jato, ha portato all’arresto di 16 persone. Fra queste anche Giovanni Pupella, presunto capodecina che sarebbe stato incaricato di gestire lo spaccio di sostanze stupefacenti nella piazza di Monreale, una delle più redditizie. Che la droga fosse una delle principali fonti di guadagno di Cosa nostra non è certo una novità. Ma le ultime indagini fanno emergere come questa fosse divenuta un’attività estremamente remunerativa con un dispendio di energie molto basso.
Oltre al consueto spaccio nelle piazze, si sarebbe potuto ottenere infatti un guadagno di oltre un milione di euro da una piantagione di marijuana scoperta nella campagne di Piana degli Albanesi, per la quale sono stati arrestati il 3 agosto 2015 Michele Mondino e Gaetano Di Gregorio. In quell’occasione i carabinieri del comando di Monreale avevano recuperato 900 piante di cannabis sativa, dalle quali sarebbe stato possibile ottenere circa 150 kg netti di sostanza, per un totale di oltre 55mila dosi. Un rendimento elevatissimo, dunque, con un investimento minimo.
Il mandamento avrebbe anche sperimentato una vera e propria attività di coltivazione in house, cioè dentro casa. «Una sorta di produzione in proprio e di consorteria territoriale per passare direttamente dal produttore allo spacciatore», spiegano gli inquirenti. Punto di forza dell’attività sarebbe stato l’anonimato, guadagnato dai membri del mandamento grazie alle intimidazioni contro i vicini, costretti dalle minacce a non denunciare l’illecito.
Dietro questa attività ci sarebbe stato un vero e proprio appalto: «Veniva individuato chi doveva occuparsi dell’irrigazione delle piante, l’elettricista che doveva montare le lampade e anche chi avrebbe dovuto recarsi con cadenza settimanale nei luoghi delle piantagioni – continuano gli inquirenti – Fino ad arrivare anche a subappaltare l’attività».