Nel 2016 sono sbarcate nel porto di Palermo 15mila persone di cui 1571 minori non accompagnati: un fenomeno dunque che non accenna ad arrestarsi. «In questi anni la nostra presenza agli sbarchi è stata sempre costante – sottolinea Emma Perricone, unità operativa dell’Asp 6 settore promozione salute immigrati – raccordandoci con le altre figure presenti quali Croce Rossa, la questura, la polizia e la prefettura, un modo per formare una grande macchina organizzativa».
L’obiettivo che lega le diverse forze messe in campo è quello di garantire la giusta assistenza a coloro che arrivano dopo aver intrapreso i cosiddetti viaggi della speranza per assicurargli le adeguate tutele giuridiche e sanitarie. Normalmente la macchina organizzativa viene avvisata 24 – se non 12 – ore prima dello sbarco e solo dopo inizia il lungo iter che vede la discesa di uomini, donne e bambini per poi concludersi con un iter di identificazione e accompagnamento nelle strutture (attualmente cinque in Sicilia) autorizzate dalla prefettura all’accoglienza.
«Sembrano dei passaggi semplici – racconta Ornella Dino, responsabile e coordinatore Asp dei centri di accoglienza – nonostante via sia una legge entrata in vigore a marzo che prevede ad esempio la permanenza nei centri appena 30 giorni, rimangono molte le criticità, perchè molto spesso la permanenza supera gli otto mesi».
A Palermo arrivano per lo più donne e bambini di nazionalità nigeriana, siriana o ganese. «Il primo passaggio subito dopo l’arrivo sul molo – continua Ornella Dino – è con la Caritas che provvede a consegnare cibo e vestiti, dopo entra in gioco il Triage dell’Asp al cui interno ci sono medici e operatori culturali, per facilitare il dialogo, viene effettuato il primo screening sullo stato di salute vale anche per i minori che vengono accompagnati in una zona dove liberamente possono parlare con gli operatori e molte volte è la zona dove avvengono i ricongiungimenti familiari».
L’azienda sanitaria provinciale dal 2013, quando sono iniziati i primi sbarchi, ha disposto il dislocamento di tre tende: in una vengono controllati al momento dell’arrivo le donne e i bambini, una è dedicata agli uomini e infine l’ultima è specializzata nelle malattie dermatologiche.
«Per lo più – ribadisce la responsabile dell’ Asp – riscontriamo delle patologie legate alle ustioni della pelle perchè si tratta di persone che spesso entrano in contatto con prodotti infiammabili ma anche problemi ossei quali fratture, dovute alla lunga permanenza sui barconi in condizioni disumane, per non parlare delle donne spesso protagoniste di gravidanze indesiderate e spesso protagoniste del fenomeno complesso della tratta».
Molto spesso i disagi non sono solo di natura fisica ma nella maggior parte dei casi sono di natura psicologica. «Nella realtà è capitato più di una volta – svela la dottoressa Dino – che tutto il dolore e i traumi subiti siano venuti fuori al momento dell’arrivo a terra, e devo dire che è difficile contenerli in un setting non adatto, soprattutto se riguardano minori che vengono facilmente dislocati non solo nei centri di accoglienza ma anche nelle comunità per ragazzi italiani, prive quindi degli standard univoci richiesti a livello internazionale e anche italiano».
Insomma se da un lato la legislazione italiana ha messo in campo una legge a tutela dei minori stranieri non accompagnati dall’altro permangono ancora dei problemi quale ad esempio la mancanza di un censimento. Molte volte sono le comunità a contattare le strutture organizzative di vario livello (sanitarie e istituzionali) e dare notizie sulla presenza al loro interno di piccoli migranti.
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