«Prendine uno, guarda che è gratis». Lei è una volontaria e quello che sta porgendo a una passante che spinge stanca un passeggino a piazza Castelnuovo è un volantino di un paio di pagine sul tema delle migrazioni e dei rifugiati. Argomenti pregnanti oggi, che tengono quotidianamente banco su tutte le cronache, ma da cui la gente sembra quasi volersi tenere alla larga. La mano della donna resta serrata sul passeggino, con un cenno del capo zittisce la volontaria e prosegue la sua passeggiata verso il teatro Politeama. La volontaria non demorde, gira la testa e ricomincia con un altro passante e un altro ancora, fino a trovarne uno che si fermi, che voglia ascoltare, che voglia sapere. Insieme a lei ci sono gli altri volontari di Palermo Senza Frontiere, che ieri in occasione della Giornata mondiale dedicata ai rifugiati sono scesi per le strade con l’intento di parlare con i cittadini, per informarli e sensibilizzarli.
«Conoscere è fondamentale per capire i giochi che ci sono dietro al fenomeno della migrazione. Se la gente è informata può decidere cosa fare. Quello che invece non permette l’azione è la scarsa informazione o un’informazione pilotata buona solo a creare allarmismo». Ne è ben conscio padre Domenico Guarino, anche lui in piazza con volantini e striscioni. «Siamo qui per parlare di uno status, quello di rifugiato, riconosciuto dall’Onu 65 anni fa ma che oggi rappresenta solo un diritto negato», spiega, puntando il dito contro la cattiva gestione del fenomeno migratorio: «Le nostre politiche emergenziali non ci fanno comprendere quale sia realmente la problematica – continua – Viviamo un tempo di movimenti, l’Onu calcola che per il 2050 saranno 250 milioni le persone che lasceranno la propria casa, per adesso è solo la punta di un iceberg».
L’obiettivo della loro mobilitazione è quindi quello di prendere contatto con il territorio, fare in modo che le persone abbiano una reale percezione di quello che sta accadendo. «Siamo invasi da programmi mediatici dove l’immigrazione è vista come un’invasione e loro come persone che vengono a rubarci il lavoro o che guadagnano soldi senza lavorare. Quindi un primo obiettivo nostro è quello provare a far capire attraverso un volantino o delle immagini che la realtà è un po’ diversa». I volontari di Palermo senza Frontiere organizzano questi appuntamenti in strada già da due anni e le reazioni con cui si sono confrontati sono state tante e diverse: «Qualcuno è contrario a prescindere e solo alla vista di alcune immagini si allontana in fretta – racconta padre Domenico – Altri vogliono saperne di più, altri ancora restano indifferenti e non manifestano nessun tipo di reazione».
Cercano di non scoraggiarsi, anche quando a stare sulla strada sono in pochi, anche quando non vuole fermare nessuno. A motivare i volontari è soprattutto l’importanza di trasmettere il messaggio che accogliere non è un atto di bontà, è un dovere. «Con la politica partitistica di questi ultimi anni e i media che, non tutti ovviamente, trasmettono il falso, ci troviamo di fronte a un tessuto sociale molto consumato che fa fatica ad accogliere, perché i migranti stessi che arrivano in Italia riescono a mettere in crisi qualcosa che è già in crisi, un welfare che non ha mai funzionato – sottolinea padre Domenico – Chi viene da fuori riesce a mettere la mano in quella piaga per farla vedere. Ma chi gestisce l’immigrazione partendo dagli interessi, pensa solo a mettere gli uni contro gli altri, alimentando di fatto una guerra fra poveri».
E a spaventare di più oggi è forse l’indifferenza verso quella che uomini come Don Luigi Ciotti e Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, hanno definito un olocausto peggiore di quello causato dal nazismo. «L’idea che mi sono fatto è che una parte dell’indifferenza sia un meccanismo di difesa, come se la gente fosse stanca di una vita che qualitativamente si è abbassata tantissimo. Fattore che ha creato forse un meccanismo per non lasciarsi ancora corrodere», sostiene. E parlare oggi di migranti significa parlare inevitabilmente anche di morti in mare, prendere atto del fatto che «il Mediterraneo è la fossa comune più grande che esiste in questo momento». Ognuno si distacca concentrandosi sulla propria vita, ma il rischio che si corre è quello di perdere l’umanità. Ponendo le basi per una società dentro la quale comunque resteremo anche noi, insieme ai nostri figli e ai nostri nipoti. «Qualcuno dice la solita frase “aiutiamoli a casa loro”: io sono missionario – aggiunge ancora – ho vissuto 22 anni in America latina e ho accompagnato i migranti dal Messico fino al Colorado e posso ben dire che noi occidentali a casa loro ci siamo già stati e l’abbiamo derubata e se loro scappano è proprio perché questa casa è stata derubata. Certo, non sono stato io in quanto cittadino semplice, però noi eleggiamo delle strutture politiche che ci rappresentano e sono loro che decidono».
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