Preferirebbero morire, pur di non essere riportati in Libia. L’ennesima conferma, rispetto al terrore dei migranti di fronte all’ipotesi di essere rispediti nei campi dell’orrore da cui nella maggior parte dei casi fuggono, arriva dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, ascoltato in audizione questo pomeriggio dalla commissione regionale Antimafia. L’organismo parlamentare guidato da Claudio Fava aveva annunciato la convocazione di Patronaggio nei giorni in cui il procuratore aveva ricevuto una lettera intimidatoria con un proiettile, lo scorso giugno. Tra i temi al centro dell’audizione, anche le indagini relative ai salvataggi dei migranti e la situazione di Girgenti acque, la società che gestisce le risorse idriche nell’agrigentino. Al termine dell’audizione Patronaggio non ha rilasciato dichiarazioni, limitandosi a dire che si è discusso anche di Ong e ringraziando la commissione per la solidarietà e l’attenzione in merito alle minacce ricevute.
A riferire sull’audizione di Patronaggio è stato il presidente della commissione, secondo cui il procuratore avrebbe posto «un problema di compatibilità, accordo, simmetria, fra diversi livelli normativi» in merito al decreto Sicurezza bis. Una norma che «ha fortemente inasprito – ha aggiunto Fava – alcune regole di ingaggio: il diritto del mare, i trattati internazionali, i diritti fondativi della nostra costituzione rispetto ai quali trovare un punto di equilibrio e di simmetria è cosa assai difficile e va rimessa non soltanto al buonsenso e all’interpretazione dei magistrati, ma anche a una lettura non superficiale di ciò che è scritto non solo nelle nostre leggi, ma anche in tutto il resto del perimetro normativo che dobbiamo considerare come nostro punto di riferimento. Il diritto del mare e i trattati internazionali, in questo senso, ne fanno parte a pieno titolo».
Nel corso dell’audizione si è parlato anche di organizzazioni non governative e anche in questo caso Fava sottolinea come Patronaggio abbia ritenuto «di smentire, almeno alla luce delle inchieste che ci sono state fino a adesso, che ci possano essere responsabilità penali, cioè collegamenti organici preordinati tra la criminalità organizzata libica e gli equipaggi delle navi che hanno offerto assistenza. Tutto questo – ha commentato – mi sembra che sia importante nel senso che fuga ogni sospetto, ogni ombra, ogni pregiudizio sul fatto che sia tutto all’interno di una grande manovra che vedrebbe insieme d’accordo Ong e organizzazioni criminali libiche. Quello che accade invece è che in alcuni casi le nuove norme del decreto prevedono delle sanzioni amministrative, nel caso in cui le Ong non rispettino le indicazioni che arrivano dal governo italiano rispetto alla destinazione in altri porti sicuri e accessibili».
«Il punto – sottolinea ancora Fava – è che tra questi porti sicuri e accessibili, certamente non possono essere considerati tali i porti libici. Non solo perché le norme internazionali vietano il respingimento, ma anche perché i porti libici e il territorio libico non offrono nessuna delle garanzie che devono essere offerte ai migranti, che non devono soltanto essere salvati dal mare, ma essere messi in condizione che i loro diritti primari vengano rispettati nel porto nel quale vengono sbarcati».
E poi le tante minacce che Patronaggio ha subito in più occasioni, dai giorni della Diciotti in poi. «Il procuratore ci ha ricordato che le minacce – ha aggiunto Fava – arrivano ogni volta che c’è necessità di intervenire, spiegare, chiarire, far valere le leggi. C’è sempre qualche gruppo di facinorosi, vagamente sovranisti nella loro idealità, che vuole far sapere che ci sono. Però non credo che vada sottovalutata. Perché il tipo di minacce, il fatto che vengano rivolte alla famiglia, le forme e i tempi con cui sono arrivate non devono farci abbassare la guardia. Poi che siano imbecilli o gruppi di criminalità organizzata non cambia nulla, gli imbecilli a volte possono fare molto più danno dei criminali, diciamo, più attrezzati».
Anche il deputato pentastellato Antonio De Luca racconta l’audizione, a partire questa volta dal dato fornito dallo stesso procuratore sul calo degli sbarchi. «Dai circa 30mila nei quattro anni precedenti – dice De Luca – a circa 1200 nel primo semestre di quest’anno». De Luca riferisce anche a proposito dei contatti che la procura di Agrigento avrebbe individuato in alcuni casi tra la criminalità organizzata tunisina e siciliana, finalizzati al reclutamento di braccianti da destinare prevalentemente al mercato del caporalato.
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