A sbarcare per prima al porto di Catania è stata una bara. Dentro, secondo quanto si apprende da fonti giornalistiche, c’è il cadavere di un 20enne sudanese che non ha retto alla traversata del mare. Dai primi racconti degli altri viaggiatori, raccolti dall’associazione Save the children, sembra che il giovane soffrisse di diabete. Tuttavia, non è ancora certo che la causa del decesso possa essere collegata a questo elemento. Assieme a lui ci sono altre 218 persone, salvate da due navi di Frontex impegnate nel pattugliamento del Mediterraneo.
Un carico di disperati che conta siriani, somali, eritrei e sudanesi. Secondo i dati forniti dalle forze dell’ordine, 64 sono i minorenni, 24 le donne e 131 gli uomini. Numeri in parte confermati da quelli forniti dalle organizzazioni umanitarie. Per Save the children, che ha i suoi operatori sulla banchina portuale, una quarantina sarebbero i minori accompagnati. E poco più di venti quelli che, invece, avrebbero viaggiato da soli. Si tratterebbe di ragazzi per lo più egiziani. Che avrebbero raccontato di essere stati chiusi in stiva e costretti a pagare per prendere aria sul ponte del barcone, partito dall’Egitto lunedì, sul quale viaggiavano.
A coordinare le operazioni di recupero sono stati gli uffici maltesi di Frontex. «Quasi nessuno rimarrà in Sicilia, secondo quanto previsto dal piano del ministero dell’Interno», spiegano dalla Capitaneria di porto. Ma la Rete antirazzista etnea si scaglia contro le operazioni condotte dall’agenzia europea Frontex. Lo sbarco, attaccano i componenti, è avvenuto «in un’area del porto interdetta al pubblico ed è stato impedito ai militanti della Rete antirazzista e di altre associazioni di accedere». Secondo quanto raccontato dagli attivisti, è stato impedito loro di consegnare ai passeggeri un vademecum che elenca i diritti dei migranti. «Sono trattati come delinquenti da segregare e da tenere lontano dal resto della città e dagli occhi delle associazioni antirazziste», scrivono i componenti della Rete in una nota. Annunciata la richiesta di ottenere un incontro con il questore «per denunciare la militarizzazione delle aree in cui avvengono gli sbarchi».
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