«Mazzata» per Messina Denaro Arrestato il suo delegato e 15 affiliati

Due operazioni congiunte a Palermo ed a Trapani fanno terra bruciata attorno al super latitante Matteo Messina Denaro. Alle 5 di questa mattina i Ros circondano una palazzina nel palermitano, esattamente in via Benedetto Marcello. Scattano le manette per il giovane Girolamo Bellomo, 37 anni, per gli amici Luca. Sua moglie è Lorenza Guttadauro nipote della «Primula Rossa». Il procuratore aggiunto Teresa Principato e i sostituti Maurizio Agnello e Carlo Marzella lo accusano di essere l’ultimo «figlioccio» di Matteo Messina Denaro. Bellomo assieme alla moglie del super boss latitante, garantiva l’assegnazione alla famiglia mafiosa importanti commesse edilizie. Mandava avanti l’economia illecita. 

Nelle stesse ore i ragazzi dell’Arma del Reparto Operativo di Trapani eseguivano 15 arresti a Castelvetrano. Tutti e 15 i pregiudicati sono accusati di essere alle «dipendenze» del nipote acquisito di Matteo Messina Denaro. I «rampolli» tempo fa avevano pianificato una rapina dal valore di 100 mila euro nel deposito del corriere (Ag Trasporti) che ha sede nel trapanese. 

Tutti e 16 sono indagati per associazione di tipo mafioso, rapina pluriaggravata, estorsione, sequestro di persona, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione, porto illegale di armi ed altre reati aggravati dalle finalità mafiose. L’intervento, in particolare, costituisce un ulteriore fase di una articolata manovra investigativa avviata dai carabinieri nel 2009, che ha portato all’arresto di 48 esponenti mafiosi del clan di Matteo Messina Denaro e al sequestro di beni per un valore di 88milioni di euro. Le indagini hanno accertato ulteriori attività illecite del mandamento mafioso di Castelvetrano, documentando il ruolo di vertice di Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, alla guida della famiglia del piccolo paese in provincia di Trapani. Ricordiamo che Francesco Guttadauro è stato arrestato nel dicembre del 2013. Il nipote della primula Rossa con l’autorizzazione formale del super ricercato ha riorganizzato la struttura criminale attraverso nuove affiliazioni e l’avvio di un rigido controllo del territorio attraverso intimidazioni e violenze. Il protagonista di questa operazione è stato il cognato (Girolamo Bellomo) e un agguerrito gruppo criminale. Il Guttadauro nel corso degli anni ha dettato nuove modalità operative incentrate anche sulla consumazione di rapine e di estorsioni nei confronti di aziende e negozi ma anche con il sequestro di persona.

«Si può considerare una caratteristica costante quella che cosa nostra partecipa attivamente al sistema politico. In questa indagine emerge da un solo personaggio, sulla zona di Castelvetrano, ma è ancora materia di indagine. In tutti gli Enti locali dove abbiamo operato, con le varie indagini, abbiamo costantemente trovato agganci tra personaggi mafiosi e gestione politica». Lo ha detto, in conferenza stampa, il procuratore facente funzioni di Palermo, Leonardo Agueci, commentando l’operazione Eden 2. Presente all’incontro con i giornalisti, tra gli altri, anche il procuratore aggiunto della locale Dda Teresa Principato.

Emergono alcuni dettagli dell’operazione. Per ristabilire l’autorità e il prestigio dell’organizzazione mafiosa a Castelvetrano, Girolamo Bellomo, dispose il pestaggio di Massimiliano Angileri, autore di un furto a casa del pluripregiudicato Giuseppe Fontana. Ad agosto del 2013, come hanno ricostruito le indagini, Angileri venne sequestrato sotto gli occhi della compagna e della figlia e, portato in un casolare abbandonato, sottoposto a un brutale pestaggio finalizzato alla restituzione del bottino. Era stato proprio Fontana, che aveva attirato con un escamotage il ladro a casa sua, a intimargli di restituire i gioielli (riconducibili, secondo quanto appurato dagli inquirenti, alla famiglia Messina Denaro). Quindi si era rivolto a Bellomo per ottenere soddisfazione del torto subito e costringere la vittima a confessare. 

Così Bellomo organizzò la spedizione e provvide a retribuire i componenti del gruppo che avrebbe pestato Angileri, abbandonandolo moribondo per strada. Secondo quanto raccontato dalla vittima, erano state sei persone a fermarlo simulando un controllo di polizia mentre guidava la sua auto, per poi portarlo in un magazzino abbandonato. «Mi hanno legato con delle fascette da elettricista – ha detto Angileri nella denuncia ai carabinieri – e mi hanno colpito ripetutamente sia con calci e pugni che con delle mazze da baseball, lasciandomi per terra. Mentre mi picchiavano, i soggetti che parlavano tutti con cadenza dialettale napoletana, mi hanno riferito più volte che mi dovevano ammazzare e poi bruciare».


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