«Io credo che si bruci chi non ci mette la faccia». E’ stato il penultimo a presentare la propria candidatura a sindaco di Catania ma è forse il candidato più presente in questa strana campagna elettorale dai toni smorzati. Matteo Iannitti, 24 anni, è entrato a gamba tesa in una competizione dominata da due big, Enzo Bianco e Raffaele Stancanelli, con un solo outsider, il docente di Economia Maurizio Caserta, e una grande assente, la candidata 5 stelle Lidia Adorno. Dopo di lui, un’altra new entry: l’ex dirigente dell’ufficio speciale del Comune di Catania Tuccio D’Urso. Ma è Iannitti la vera sorpresa. La lista che lo accompagna, Catania Bene Comune, è l’espressione della società civile cittadina, con candidati al consiglio comunale provenienti da associazioni e forum, rappresentanti di categorie come i lavoratori e gli stranieri etnei. Eppure il percorso di Iannitti è strettamente politico: forte della sua tessera di Rifondazione Comunista presa al liceo e alla gavetta all’interno del partito.
Un precursore ancora prima di queste consultazioni elettorali. Quando, al liceo, ha fondato il collettivo degli studenti e più tardi, all’università, il Movimento studentesco catanese. Eppure, per molti, oggi è troppo presto. Lui troppo giovane, i tempi troppo poco maturi per non rischiare di bruciarsi. «E’ un’idea figlia della vecchia politica che non ci rappresenta più – spiega Iannitti – Noi abbiamo deciso di lanciare un progetto per la città. Se avremo i consiglieri comunali, sarà un grande passo in avanti. Altrimenti fa niente, continueremo a lavorare dall’indomani delle consultazioni».
A modo loro: con iniziative giovani e provocatorie, come i flash mob in piazza, e la creazione di personaggi di fantasia. Il più noto è Maurizio Biancanelli, sintesi di tre dei candidati in corsa e da poco sbarcato su Facebook, che è stato visto aggirarsi in via Etnea, nelle scorse settimane, chiedendo tremila euro ai catanesi per strada. «Tanto viene, diviso per ciascuno, il debito cittadino», spiegava ai perplessi passanti.
Il programma di Catania Bene Comune, costruito dal basso, ha pochi punti fermi in forma di no: al debito pubblico, alla cementificazione della città, alle privatizzazioni. La ricetta, applicabile all’urbanistica come alla mobilità, è semplice: riaprire Catania ascoltando di cosa hanno bisogno i catanesi, affidando all’amministrazione il ruolo di mediatore tra le parti sociali e di gestore della cosa pubblica. La crisi economica, di cui il Comune etneo è capofila, non sembra essere un ostacolo: «Alcune cose si possono fare anche a costo zero spiega Iannitti – Per altre basta accedere agli appositi fondi europei e, soprattutto, gestire pubblicamente le risorse, come l’acqua e i rifiuti, che possono portare soldi all’amministrazione». Senza concessioni ai privati, «i soliti poteri forti cittadini come gli imprenditori Ennio Virlinzi e Mario Ciancio Sanfilippo», ci tiene a fare i nomi Iannitti.
Un programma e una lista che non hanno paura di dirsi fortemente di sinistra. E che non le mandano a dire ad avversarsi ed ex alleati. «Io credo che, in questo momento di emergenza, si stiano bruciando coloro che stanno distruggendo un percorso politico per allearsi e quelli che stanno saltando un turno», continua Iannitti. Il riferimento è alla grande compagine di centro sinistra, con diverse aperture a destra sul modello regionale di accordo Pd-Udc – che abbraccia il candidato dato per favorito, Enzo Bianco. «Ha deciso di candidarsi, non ha voluto mettersi in gioco nelle primarie, ha caratterizzato la sua candidatura come né di destra né di sinistra, perché la sinistra è debole in città commenta il candidato di Catania Bene Comune – Dopo di che ha preso tutto il peggio dell’amministrazione di Umberto Scapagnini e un pezzo di peggio di quella di Stancanelli. E’ lui la vera continuità con l’amministrazione di centro destra, più del sindaco uscente».
Non il meno peggio, «ma il peggio». Con cui un pezzo di sinistra catanese si è alleata «perché ha deciso di vincere». Un’incoerenza che, secondo Matteo Iannitti, non pagherà. «C’è un detto siciliano che recita Fuiri è veggogna, ma è savvamentu ri vita – conclude – Noi speriamo che si salvino, ma ci devono fare una concessione: non infanghino più il nome della sinistra in questa città».
[Foto di Alberta Dionisi]
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