Il caso risale ai primissimi anni ’90. La Corte d’appello di Palermo, pur rilevando la condotta omissiva del professionista, aveva negato il nesso di causalità con le sofferenze patite dall’assistita – una donna di Palermo a cui era stata ritardata la diagnosi di un tumore alla cervice dell’utero – e pertanto il diritto al risarcimento per gli eredi.
Secondo la sentenza della Cassazione depositata ieri (la numero 16993/2015) invece, anche l’aver negato la possibilità di un intervento palliativo – se fosse stata fatta una diagnosi tempestiva – procura al paziente un danno per non aver potuto alleviare il dolore.
E’ stato così stabilito che la mancata o tardiva diagnosi di una patologia terminale comporta la responsabilità medica del professionista e, per gli eredi, il diritto al risarcimento del danno morale terminale patito dal loro congiunto. La Terza sezione civile della Cassazione – a oltre venti anni dai fatti – ha sancito che i danni consistono nella negazione della chance di vivere più a lungo e di patire minori sofferenze.
Il caso, avvenuto nei primissimi anni ’90, riguardava il destino di una donna a cui era stata ritardata la diagnosi di un tumore alla cervice dell’utero. Una patologia molto aggressiva, racconta il Sole 24 Ore, e quasi sempre dal decorso ineluttabile, ma che il ginecologo curante non aveva saputo individuare nonostante ripetuti episodi di perdite ematiche, segnalati dalla paziente e ampiamente sottovalutate dal medico. E’ così riconosciuto il risarcimento per danno morale terminale, diritto trasmissibile agli eredi.
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