Quattro immobili, tre veicoli, le quote di due società, alcuni conti correnti. Sono solo alcuni dei beni sequestrati a Sebastiano Mazzei, figlio di Santo, ex capo del clan dei Carcagnusi. Ruolo passato di padre in figlio, irreperibile da aprile, quando avrebbe dovuto essere arrestato durante l'operazione Scarface. E intanto il Comune annuncia la richiesta dei danni in sede civile
Mafia, sequestro da otto milioni per Nuccio Mazzei Gdf: «Lo priviamo delle risorse utili per la latitanza»
Gli tagliano i viveri per costringerlo a uscire allo scoperto. È la strategia della Guardia di finanzia etnea per arrestare Sebastiano Mazzei, detto Nuccio, figlio di Santo Mazzei, ex capo del clan mafioso etneo dei Carcagnusi. Un ruolo passato di padre in figlio ma con quest’ultimo latitante da aprile dello scorso anno, quando sarebbe dovuto essere arrestato durante l’operazione Scarface. Adesso i militari della Gdf hanno eseguito nei suoi confronti un sequestro da circa otto milioni di euro: quattro immobili a Catania, tre veicoli, le quote di una società catanese e di una bergamasca, alcuni conti correnti, le quote di fondi di investimento, dei dossier titoli e delle polizze risparmio e crediti.
Ad aprile, a rubare la scena alla notizia della latitanza di Nuccio Mazzei era stato William Alfonso Cerbo, esponente dello stesso clan con una vera fissazione per il film di Oliver Stone e Brian de Palma che ha dato il nome all’operazione. Novello Tony Montana, tra truffe – una di queste raccontata da una vittima a MeridioNews – e altre attività illecite, si era già fatto costruite un trono che riproduceva quello della pellicola. E al momento dell’arresto stava procedendo con i lavori per la costruzione di casa sua, con una sola richiesta ai progettisti: «Ingegnere, io parlo delle scale di Scarface». Nella stessa operazione è stato coinvolto anche un luogotenente della stessa Guardia di finanza etnea, Francesco Caccamo, «per il contributo causale che forniva all’associazione, sia in operazioni antidroga che facendo sorveglianza, in particolare alla discoteca Moon Beech (sequestrata durante l’indagine, indr)», spiegava ad aprile scorso Roberto Manna, comandante della Gdf etnea.
Durante l’indagine, aggiungono gli investigatori, era emerso il metodo di gestione degli affari criminali diretto da Sebastiano Mazzei insieme ai suoi collaboratori più fidati. I proventi delle attività illecite – estorsioni, ma anche bancarotte aggravate dal metodo mafioso – sarebbero stati reinvestiti nel circuito legale attraverso l’acquisto di attività, ovviamente intestate a prestanome. Così i militari della Gdf hanno cominciato a incrociare dati, alla ricerca dei beni nella disponibilità materiale di Mazzei e della sua famiglia. Il tutto per «stringere il cerchio attorno al fuggitivo, privandolo delle risorse finanziarie che possono sostenerne la latitanza», spiegano. «Nella consapevolezza che tra le misure più efficaci di contrasto alla criminalità organizzata vi è certamente quella dell’aggressione dei profitti derivanti dalle attività illecite già immessi nel circuito economico legale».
E intanto il vicesindaco Marco Consoli annuncia di voler chiedere un risarcimento civile al clan. «Su questi otto milioni di euro, come su altri patrimoni degli affiliati, ci rivarremo per i danni morali e di immagine che la città di Catania, in tutti questi anni, ha subito da Mazzei e dai suoi sodali», commenta Consoli. «L’assessore Giuseppe Girlando e io, su mandato del sindaco Enzo Bianco, c’eravamo costituiti parte civile nel processo contro il clan: tutti condannati – conclude -. Noi istituzioni, insieme alla società civile, siamo più forti».