Tre nomi già noti e due inediti. Sono quelli di cui ha parlato a ottobre la prefetta di Catania Maria Guia Federico davanti ai componenti della commissione parlamentare antimafia. Motivo dell’audizione le presunte infiltrazioni di Cosa nostra nel consiglio comunale del capoluogo etneo. Nomi, cognomi e scomodi rapporti di parentela che hanno portato più di un deputato, compresa la presidente Rosy Bindi, a chiedere l’attivazione della procedura per l’invio degli ispettori ministeriali a Catania, almeno nella circoscrizione che comprende Librino. Così da scandagliare verbali e atti e riuscire a capire l’eventuale condizionamento della mafia sulla politica. «Abbiamo fatto uno screening su tutti i consiglieri comunali e di circoscrizione e i loro parenti fino al terzo grado. Non è emerso nessun fatto e circostanza nuova rispetto al periodo del voto. Era tutto già così al momento della loro elezione», risponde Federico. Un lungo elenco in parte già sviscerato dal report della Commissione regionale antimafia presieduta da Nello Musumeci, ma che adesso è stato allargato da un approfondimento che ha coinvolto tutti i vertici delle forze dell’ordine locali. E se in commissione nazionale antimafia la prefetta si è limitata a ricostruire in breve parentele, denunce e condanne, ecco nome per nome tutti i dettagli.
Erika Marco, consigliera comunale ex Megafono, oggi gruppo misto
L’ex consigliera del movimento politico di Crocetta era un nome già emerso a causa del padre: l’imprenditore Fabio Marco. Nel 1998 viene coinvolto nell’inchiesta della Dia sulla costruzione dell’ospedale Garibaldi di Catania e sul residence universitario Il Tavoliere. Nella relazione del primo semestre del 1999 l’organismo investigativo scrive: «È stato accertato il grado di interesse e, quindi, di coinvolgimento delle famiglie mafiose palermitane e catanesi, che appaiono esser addivenute a una remunerativa spartizione, nei più importanti appalti pubblici». Nell’inchiesta sul nosocomio Marco, imprenditore originario di Paternò, viene arrestato il 20 ottobre 1998 accusato di turbativa d’ asta, falsità e corruzione. Secondo i magistrati avrebbe ottenuto dei subappalti dei lavori. A ottobre 2006 il magistrato Francesco Puleio chiede per lui la condanna a cinque anni. Dopo alcuni mesi i giudici lo ritengono colpevole a tre anni e sei mesi. Nel processo d’appello, conclusosi nel 2012, il giudice Ignazio Santangelo dispone il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Il nome di Marco emerge anche nell’informativa Ermes, poi confluita nell’inchiesta antimafia Dionisio: l’imprenditore viene indagato per truffa e turbativa d’asta per i lavori, banditi dal Comune di Catania, per la sistemazione della pavimentazione di piazza Trento. Un appalto da 102 milioni di vecchie lire in cui emergono alcuni appuntamenti monitorati dal Ros dei carabinieri. In uno di questi l’imprenditore incontra «nei pressi dell’hotel Excelsior Orazio Grimaldi ed Enzo Mangion». Quest’ultimo, all’anagrafe Giuseppe, figlio del capomafia Alfio, è uno dei nomi più noti della mafia etnea. Gli inquirenti ricostruiscono numerosi faccia a faccia tra i tre, uno dei quali – si legge nei documenti – «qualche ora prima della celebrazione della gara».
Riccardo Pellegrino, consigliere comunale in quota Forza Italia
Eletto con il Pdl, Pellegrino viene indicato dalla prefetta come «segnalato da polizia e guardia di finanza per il reato di scambio elettorale politico-mafioso, concluso in nulla». Secondo i dati forniti da Federico ai parlamentari, «Pellegrino è stato sottoposto a controlli che lo avrebbero visto in compagnia di Carmelo Girolamo Mazzei». Figlio del capomafia Nuccio Mazzei, detto il Carcagnuso, arrestato a Ragalna il 12 aprile 2015 dopo un periodo trascorso da latitante. Della stessa cosca farebbe parte anche Gaetano Pellegrino detto u fungiutu, fratello del consigliere. L’uomo è stato arrestato durante l’operazione antimafia Ippocampo ed è stato rinviato a giudizio. Questo però non è l’unico processo che lo vede alla sbarra. Deve rispondere anche delle presunte minacce, che sarebbero state rivolte insieme a Nuccio Mazzei, al collaboratore di giustizia Salvatore Viola. Una storia dai contorni poco chiari che andrà a sentenza all’inizio del 2017. Il nome nuovo emerso durante la convocazione della prefetta è quello di un altro fratello del consigliere Pellegrino: Antonio Gianluca, «destinatario di ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti in favore del clan Cappello». È il 2008 quando il giovane viene arrestato – insieme a Carmelo Trovato, poi emerso in altre indagini sul clan Cappello – in una villetta del villaggio Cielo azzurro di Vaccarizzo. Secondo quanto riferiscono le cronache dell’epoca, viene bloccato dalle forze dell’ordine dopo aver tentato la fuga da una finestra. Insieme ai due, vengono trovate della droga e una pistola. Quest’ultima, secondo gli inquirenti, rubata quattro anni prima a un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere cittadino di piazza Lanza.
Francesca Raciti, presidente del Consiglio comunale, eletta con il Pd
Come per la consigliera Marco anche la presidente del Consiglio, fedelissima di Enzo Bianco, viene tirata in ballo a causa del padre: Carmelo Raciti. «Indicato da un collaboratore di giustizia nell’ambito dell’inchiesta Iblis quale personaggio di riferimento per alcune attività lecite dei Santapaola-Ercolano – spiega la prefetta in commissione antimafia -. Viene indicato come imprenditore strettamente correlato a Maurizio Zuccaro, ma la cosa non ha avuto seguito». Alle dichiarazioni di Federico a San Macuto, la presidente Raciti ha replicato con una nota in cui spiega che il padre «non ha mai ricevuto dalla magistratura nessuna comunicazione che lo riguardi, né risulta essere mai stato indagato in qualsivoglia altro procedimento per reati associativi di alcuna natura». E in effetti non è stato possibile trovare il suo nome negli atti del procedimento Iblis – sebbene si tratti di circa 80mila pagine – né risalire a quale collaboratore di giustizia facesse riferimento la prefetta.
Lorenzo Leone, presidente delle sesta circoscrizione (San Giorgio – Librino – San Giuseppe La Rena – Zia Lisa – Villaggio Sant’Agata)
Fratello di Gaetano Leone, coinvolto l’ultima volta nel 2005 nell’operazione antimafia Arcipelago. Di quest’ultimo si parla ancora prima, nelle cronache giudiziarie del 1997, quando viene bloccato durante una presunta estorsione a una società di costruzioni di Agrigento. L’uomo viene fermato in compagnia di Armando Morales, poi ucciso in un agguato nella zona del villaggio Sant’Agata. Qualche anno dopo Gaetano Leone viene coinvolto nell’operazione Fiducia: allora finiscono in manette 26 persone tra cui Salvatore e Giuseppe Santapaola, cugini del capomafia Nitto. Secondo gli investigatori il gruppo estorceva denaro ai commercianti. L’altro parente indicato in commissione antimafia dalla prefetta come cognato del presidente Leone è Maurizio Marchese. Quest’ultimo è stato più volte arrestato dai carabinieri per associazione mafiosa e, nel dicembre 1997, condannato dalla Corte d’assise a due anni. Su questo passaggio abbiamo provato a chiedere, senza successo, una replica al diretto interessato.
Mario Tomasello, consigliere della prima circoscrizione (Centro storico)
È uno dei nomi nuovi, che non compariva nel report della commissione regionale. Viene eletto nel 2013 nella prima circoscrizione nella lista di Articolo 4 con 524 voti. Il terzo più votato dopo il presidente Salvatore Romano e Dario Bussolari. La prefetta, nel suo resoconto a San Macuto, sembra fare confusione con i nomi, spiegando che Mario Tomasello è «fratello di Mario, deceduto, denunciato dal reparto anticrimine dei carabinieri di Reggio Calabria e dalla squadra mobile di Catania». In realtà il fratello defunto si chiama Massimo Carmelo, meglio noto negli ambienti giudiziari della città con il soprannome di Poiatti. Bisogna andare indietro nel tempo fino al 1993, all’operazione antimafia Vega, per trovare le sue tracce. In quel processo viene assolto dall’accusa di essere vicino al clan di Santo Mazzei, il Carcagnuso, padre di Nuccio. Nel febbraio 1997, dentro all’abitazione di Poiatti, le forze dell’ordine trovano il latitante Salvatore Burgio, ritenuto un affiliato di Cosa nostra di Gela. Si arriva dopo qualche anno all’operazione Nostromo del 2005. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria scopre una presunta lottizzazione del mare da parte della cosca di ‘ndrangheta di Siderno. Presunte tangenti imposte alle barche per pescare ma anche accordi, come quello con il clan di Mazzei. I problemi con la giustizia non si fermano: nel 2009 l’uomo finisce infatti impigliato nelle maglie delle operazioni Abisso 2, Plenum e Maremonti 2. Dopo qualche anno, Massimo Carmelo Tomasello muore, pare per cause naturali.
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