Lucio Pappalardo ha rilasciato spontanee dichiarazioni durante il processo Gorgoni sui rapporti tra i clan e la società Ef Servizi ecologici. Alla sbarra politici e imprenditori. Pappalardo è l'unico imputato a essere ancora detenuto
Mafia e rifiuti, parla il presunto reggente dei Laudani «Incontro con Maesano? Non ho fatto da mediatore»
«Sono sposato, abbiamo due figli e ho un bel lavoro che con mia moglie curiamo da quando eravamo ragazzi. Siamo partiti da zero e oggi mi vanto di avere prodotto un brevetto esclusivo che allunga la data di scadenza senza usare conservanti. Mi dichiaro innocente per tutto ciò di cui sono accusato». Pochi istanti dopo essere uscito dalla cella ed essersi sistemato davanti al microfono, sceglie queste parole Lucio Pappalardo, titolare di una impresa specializzata nella produzione di brioche e ritenuto presunto reggente del clan Laudani ad Aci Catena. È lui a scegliere di rilasciare dichiarazioni spontanee nel corso del processo Gorgoni.
Pappalardo, 42 anni, è accusato di avere fatto da tramite tra il clan Cappello e il Comune di Aci Catena per spingere gli amministratori dell’ente a dirimere la controversia per l’aggiudicazione della gara d’appalto settennale per la raccolta dei rifiuti nella città del limone verdello. A cuore del gruppo criminale guidato a Catania da Massimiliano Salvo sarebbero state le sorti della Ef servizi ecologici, società di Misterbianco all’epoca guidata da Vincenzo Guglielmino. Quest’ultimo, deceduto a fine dello scorso anno, fu arrestato nel blitz del 10 ottobre 2016, con l’accusa di avere usufruito dell’appoggio della mafia per mettere le mani sugli appalti ad Aci Catena, Misterbianco e Trecastagni. Nel primo caso, le ambizioni di Guglielmino si sarebbero scontrate con quelle della Senesi di Rodolfo Briganti.
Le due società, quattro anni fa, furono protagoniste di una lunga disputa giudiziaria seguita all’emissione per entrambe, ma con tempistiche diverse, dell’interdittiva antimafia. A esprimersi sulla Ef fu la prefettura di Catania, mentre quella di Fermo si pronunciò sulla Senesi. Secondo la Dda di Catania è nell’attesa che la giustizia amministrativa si pronunciasse che Guglielmino si sarebbe mosso verso i Cappello per trovare il modo di ottenere gli affidamenti temporanei del servizio. Ipotesi che si sarebbe scontrata con la resistenza dell’allora sindaco di Aci Catena Ascenzio Maesano. A muovere il primo cittadino verso questa decisione sarebbe stato tuttavia l’interesse a mantenere vivo il rapporto con il titolare della Senesi. Un legame che, secondo l’accusa, si sarebbe basato su reciproci favori, tra i quali la promessa di contribuire al finanziamento della futura campagna elettorale di Maesano alle Regionali e la disponibilità ad assumere netturbini su indicazione dell’amministrazione comunale.
In questo complesso quadro, Lucio Pappalardo avrebbe incontrato Maesano per sollecitare il sindaco. Un intervento che sarebbe stato accompagnato anche dall’avvertimento in merito all’intenzione dei catanesi di fargli «due buchi in testa» se il Comune non avesse deciso di affidare il servizio alla Ef servizi ecologici. Una ricostruzione che oggi è stata smentita da Pappalardo. «Non ho mai negato che queste persone siano venute a casa mia, ma io da ciò non dovevo guadagnare nulla – spiega il 42enne -. Mi hanno detto che avevano attriti personali con gli amministratori comunali chiedendomi se amichevolmente potevo dire di metterli da parte». Pappalardo conferma di essere andato a parlare con Maesano, ma di avere desistito dalla disponibilità a fare da mediatore dopo avere scoperto che in ballo non c’erano attriti personali ma un’interdittiva antimafia.
Il presunto reggente dei Laudani ad Aci Catena ha poi fatto riferimento a come sia nata la conoscenza con Massimiliano Salvo. L’incontro sarebbe stato scaturito dall’essersi preso cura della famiglia dello zio, destinatario di una lunga detenzione così come il padre. Premure che Salvo avrebbe apprezzato. «Venne da me e si è congratulato per il comportamento che avevo avuto con i miei familiari», ha detto Pappalardo. Per poi soffermarsi sui contenuti di un’intercettazione in cui Guglielmino parlando di lui lo indica come un «lavoratore», quasi a lamentarsene. «Per me Guglielmino se ne è andato da Salvo, gli ha portato queste lamentele e Salvo gli ha detto che io sono un lavoratore e non un malavitoso. Signor giudice – domanda Pappalardo al collegio giudicante – ha più valore l’interpretazione data dagli inquirenti o le parole di queste persone?».
Di lì a poco la richiesta di scarcerazione, anche in considerazione dei lunghi tempi della giustizia. «Per un presunto colpevole che risulta poi colpevole il carcere non cambia nulla. Ma per per il futuro innocente, l’essere rimasto in carcere cambia tantissimo. Tutti gli anni che ci vengono tolti – conclude il 42enne – restando dentro non c’è modo di recuperarli». L’istanza è stata rigettata dal giudice Roberto Passalacqua, che, dopo avere ricordato che una precedente richiesta è stata rigettata, ha spiegato che al momento non ci sono novità per cambiare valutazioni.