Blitz antimafia, azzerato il mandamento di Corleone Prudenti vs oltranzisti, lo scontro dentro Cosa nostra

Il capo indiscusso era Rosario Lo Bue. Era lui per gli investigatori a guidare il mandamento di Corleone, smantellato all’alba di oggi dai carabinieri del Nucleo investigativo di Monreale e della Compagnia di Corleone, con il supporto delle unità cinofile per la ricerca di armi e di un elicottero. Sei i provvedimenti di fermo eseguiti dai militari nei confronti di altrettanti tra boss e gregari accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso, danneggiamento, illecita detenzione di armi da fuoco. Una nuova operazione antimafia tra i comuni di Corleone, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina, che ha documentato gli assetti di Cosa nostra all’interno dello storico mandamento e che ha permesso anche di sventare un omicidio e documentare la disponibilità di un piccolo arsenale.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Sergio Demontis, Caterina Malagoli e Gaspare Spedale, sono la prosecuzione delle operazioni Grande Passo e Grande Passo 2, che, tra settembre 2014 e gennaio 2015, hanno colpito gli esponenti delle famiglie mafiose di Corleone e Palazzo Adriano. Ma l’operazione, denominata Grande Passo 3, ha permesso agli investigatori anche di far luce sull’esistenza ancora oggi dentro Cosa nostra di due anime contrapposte: quella moderata storicamente sostenuta da Bernardo Provenzano e quella più oltranzista fedele alle posizioni di Salvatore Riina.

Era alla prima che si ispirava Rosario Lo Bue, pastore di professione, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Provenzano, finito all’alba in manette. Una leadership che seguiva la linea d’azione prudente e che aveva generato però più di un malumore all’interno della famiglia. In particolare, Antonino Di Marco, arrestato nel settembre del 2014 e da sempre ritenuto vicino alle posizioni dell’altro storico boss corleonese Salvatore Riina, in più occasioni aveva modo di lamentarsi del modo in cui Lo Bue gestiva gli affari dell’organizzazione.

Contrapposti sulla linea da seguire ma concordi su una fondamentale e inderogabile regola di Cosa nostra: garantire il sostegno economico ai familiari degli affiliati finiti in carcere, tra cui, in particolare, il capo indiscusso di Cosa nostra Salvatore Riina. E per assicurarsi il controllo del territorio in maniera capillare e salda i boss di Corleone non esitavano a ricorrere a intimidazioni, incendi e danneggiamenti. «Durante le indagini – spiegano gli investigatori – è stato ricostruito anche il progetto omicidiario ai danni di una vittima ancora non identificata ed è stata documentata chiaramente la disponibilità di un piccolo arsenale di armi nascoste in una località in via di individuazione». Così tenuto conto della «pericolosità sociale dimostrata dagli appartenenti a Cosa nostra che ha continuato ad esercitare una costante pressione sul tessuto sociale ed economico» la Dda di Palermo ha ritenuto necessario procedere ai fermi del «potenziale gruppo di fuoco e dei vertici dell’organizzazione». I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa convocata per le 11 in Procura.

Rossana Lo Castro

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