Una polemica lunga un giorno investe la pista ciclabile del Lungomare di Catania. Al centro delle cronache stavolta finisce l’installazione di un attraversamento pedonale rialzato su viale Ruggero di Lauria, opera pubblica decisa dall’amministrazione comunale e realizzata da una ditta privata, mentre la ditta Multiservizi guidata dal presidente Michele Giorgianni si è occupata esclusivamente della segnaletica. Il timore è che la struttura – nata per rallentare il traffico veicolare nell’arteria e mettere in sicurezza i pedoni della zona – possa risultare pericolosa ai ciclisti della Staffetta partigiana.
«La collocazione del rialzamento pedonale è stata individuata tramite il Piano generale del traffico urbano ed è tutto in piena regola», interviene l’assessore ai Lavori pubblici Luigi Bosco, ex presidente dell’ordine degli ingegneri di Catania. A incalzarlo, durante l’ultima seduta del Consiglio cittadino, diversi componenti dell’Aula. Tra questi non c’è il consigliere di Articolo 4 Giuseppe Catalano, il politico che due anni fa si è presentato davanti al sindaco Enzo Bianco con un fascicolo di 400 pagine per discutere con lui dell’opportunità di realizzare gli attraversamenti pedonali rialzati in strade catanesi particolarmente pericolose. A renderle tali l’alta velocità praticata dai cittadini. Episodi che le strutture intendono ridurre.
«Sono stato io a suggerirne l’installazione a Bianco», racconta a MeridioNews Catalano. Che si è a lungo documentato, soprattutto sulla differenza tra gli attraversamenti pedonali rialzati e i dossi. «I primi possono essere presenti anche nelle strade principali e, a quanto ne so io, non interferiscono con le corsie preferenziali deputate a soccorsi ed emergenze», dice. Queste opere differiscono dai dossi – vietati nelle arterie più importanti – nel materiale (anche bitume), nelle maggiori dimensioni e nei colori (devono essere particolarmente visibili all’occhio dell’automobilista, ndr). D’altra parte, spiega Catalano: «La mia idea si riferiva a cinque vie di San Giovanni Galermo dove in pochi anni c’erano stati troppi incidenti stradali mortali e non – continua – a tutta la città». Ma «nel complesso sono contento perché queste strutture sono già state sperimentate in 21 Comuni d’Italia e sono risultate particolarmente efficaci nella lotta all’alta velocità delle macchine e nella tutela dei pedoni».
Resta il nodo che l’attraversamento pedonale del Lungomare arrivi sino alla pista ciclabile. «Non so in questo caso cosa ha fatto l’amministrazione ma – conclude Catalano – so che la struttura si differisce da un dosso solo se unisce due marciapiedi e la posa sembra corretta». Critico un ingegnere catanese che abita a San Giovanni Li Cuti, Arturo Palermo. «Sebbene le norme sulle piste ciclabili non affrontino questo tema specifico, a me una cosa del genere appare del tutto assurda», dichiara. E aggiunge: «Sembra l’ennesimo intervento che alla base ha più un certo sentimento che uno studio puntuale di fattibilità, un po’ come tutta la pista che non non manca di problemi». Tra questi, sottolinea, il «dosso non dosso è l’ultimo in un lista in cui figurano la presenza di un doppio senso di marcia sulla stessa pista vietato da ogni norma, l’assenza di rastrelliere e – conclude – la totale mancanza di un’analisi preliminare sulle conseguenze del traffico veicolare».
Sulla vicenda interviene la Federazione italiana amici della bicicletta onlus (Fiab) attraverso il coordinatore regionale della Sicilia Simone Morgana: «È un’anomalia dal punto di vista tecnico ma di certo il codice della strada non aiuta. Nello specifico poi – continua il referente dell’associazione – si tratta di un neo su un’opera pubblica importante che può avere qualche criticità ma rappresenta un buon inizio alla mobilità alternativa».
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