L’Ue accusa sindaci di Paternò e Porto Empedocle Citati in un report su hate speech contro i migranti

Nella comunicazione politica italiana sono sempre più ricorrenti equazioni retoriche come più migranti più criminalità, o più migranti meno turisti. Fino ad arrivare all’intramontabile più migranti meno lavoro. Espressioni che quasi mai vengono messe «sotto stress», ossia verificate sulla base di dati numerici. In Europa, a quanto pare, tengono un po’ di più alla corrispondenza tra i fatti e il linguaggio impiegato per raccontarli. Così può capitare che il report mensile stilato dall’Agenzia Ue per i diritti fondamentali – che si occupa soprattutto di immigrazione, accoglienza e integrazione – inserisca le dichiarazioni di due sindaci siciliani nel capitolo intitolato Hate speech e violent crime, dedicato a casi di violenza fisica o verbale in cui sono coinvolti richiedenti asilo o rifugiati nei vari paesi comunitari.

Secondo l’Agenzia, sarebbero impregnate di hate speech (incitamento all’odio) le esternazioni del sindaco di Paternò Nino Naso secondo il quale la comunità del centro del Catanese non potrebbe permettersi l’arrivo di 50 rifugiati politici «vista la presenza nel nostro territorio di micro e macro criminalità». Dando così per sottinteso che l’arrivo dei cittadini stranieri andrebbe automaticamente ad accrescere i livelli di delinquenza nella città. E così, dinnanzi alla decisione della Prefettura di Catania di verificare se un edificio privato a tre piani in via delle Gemme fosse in grado di ospitare qualche decina di migranti, il primo cittadino ha promesso di fare «barricate». Per poi aggiungere: «Tengo a precisare che il mio rifiuto non è dettato da motivi razziali». 

Se Naso piange, Ida Carmina non ride. La sindaca di Porto Empedocle fa compagnia al collega nello stesso capitolo. Carmina viene menzionata per aver partecipato alla protesta anti-migranti inscenata dai commercianti empedoclini nei primi giorni di settembre. Alla base delle rimostranze il fatto che la presenza di 44 stranieri in una città di 17mila abitanti causerebbe seri danni al turismo. Qui l’equazione si fa complessa: più migranti meno turisti, dunque meno affari«La Sicilia non è un campo profughi», ha dichiarato a MeridioNews la prima cittadina quando, alla vigilia di Ferragosto, ha scoperto che i giovani provenienti dall’Africa erano stati accolti in una struttura gestita da una cooperativa. A suffragio della propria posizione, poi, aveva ricordato che «il centro si trova alle spalle di una scuola media e questi minori stranieri hanno costumi diversi dai nostri. Capita che girino mezzi nudi o che si facciano vedere in mutande». 

Carmina, che in merito ai presunti danni che l’accoglienza arrecherebbe al turismo arrecati aveva sottolineato di avere un pensiero simile a quello precedentemente espresso dall’assessore regionale Anthony Barbagallo, aveva poi parlato delle differenze nei trattamenti che, a suo dire, lo Stato riserva a chi è in stato di bisogno. «Magari gli italiani fossero trattati come i minori stranieri – ha affermato -. Ai giovanissimi italiani che sono in condizioni di disagio certamente lo Stato non dà 45 euro al giorno». Nonostante le cose in realtà non funzionino proprio così. Anche nel suo caso, infine, la consueta rassicurazione : «Il mio non è razzismo, sono sempre stata solidale».

A essere citato nel documento è anche Totò Martello. «Il sindaco di Lampedusa ha annunciato la sua intenzione di chiudere il locale hotspot per via del sovraffollamento e dell’impatto negativo che le sue condizioni critiche avevano avuto sulla comunità locale», si legge. Un passaggio, infine, è riservato al Cara di Mineo: «Una campagna di associazioni e ong chiamata lasciateCIEntrare ha dimostrato che quasi tremila persone vivono nel centro per rifugiati e richiedenti asilo, che era stato costruito per circa 1800-2000 posti».

Il rapporto dell’agenzia è prodotto, ogni mese, sulla scorta di interviste con gli stakeholder. Nel caso italiano si tratta di fonti del ministero dell’Interno, organizzazioni non governative e network solidali come la comunità di Sant’Egidio e la Croce rossa. 

Marco Militello

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