Gli attentati a Parigi, la risoluzione Onu contro l‘Isis e l’abbattimento del caccia russo al confine tra Siria e Turchia. I fatti degli ultimi giorni hanno innalzato la tensione mondiale, riportando l’attenzione sul grado di coinvolgimento dei singoli Paesi nelle azioni militari contro le milizie dello Stato islamico. Anche la Sicilia che, per via della sua centralità nel Mediterraneo, potrebbe diventare fondamentale. A sostenerlo sono i studiosi dell’Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies (Itstime), il centro di ricerca sui temi della sicurezza e del terrorismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
«L’Italia è una nazione importante per gli Stati Uniti e per la Nato – dichiara Marco Maiolino -. Nel nostro Paese ci sono 59 basi americane e 13mila unità militari presenti». In questo quadro generale, la Sicilia garantisce precisi vantaggi per le missioni all’estero: «La sua posizione nel Mediterraneo è la migliore in termini di rapidità di dispiegamento – continua Maiolino -. Per gli americani è la finestra prediletta su Africa e Medio Oriente». A dimostrarlo sono anche i 300 milioni di dollari che gli Stati Uniti hanno investito a partire dal 2001 per l’ampliamento della base militare di Sigonella, una delle sei presenti nell’Isola, insieme a quelle di Augusta, Niscemi, Trapani, Pantelleria e Lampedusa. «Sigonella è il secondo aeroporto militare più trafficato in Europa e la base per il decollo di droni americani Global Hawks e Nato».
A differenza di quanto dichiarato nei giorni scorsi dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti – secondo la quale l’Isola entrerebbe in gioco solo se lo scenario di guerra fosse in Africa – per i ricercatori di Itstime, le ultime vicende internazionali potrebbero determinare un preciso impegno delle basi siciliane: «Ora che la Francia si è appellata alla mutual assistance prevista dal trattato di Lisbona, ha incrementato gli attacchi aerei contro l’Isis e alla luce della risoluzione dell’Onu che chiama una vasta coalizione anti-Isis a raddoppiare gli sforzi contro questa minaccia, – commenta Maiolino – è plausibile che queste basi vengano usate dagli americani, o messe a disposizione delle forze francesi e della coalizione anti-Isis per operare in Siria e Iraq, se richiesto. Questo tipo di supporto logistico – specifica l’esperto – sarebbe peraltro in linea con la riluttanza di Obama a inviare truppe sul terreno».
A parlare del livello di sicurezza delle basi siciliane è il coordinatore del centro Marco Lombardi: «Affermare che le basi militari possano essere un obiettivo del terrorismo non è assurdo – dichiara lo studioso -. Senz’altro si tratta di luoghi che potenzialmente potrebbero interessare l’Isis, tuttavia per il momento i fatti dicono che le azioni dei terroristi sono indirizzati verso altri luoghi». I motivi sono diversi: «Innanzitutto si tratta di siti con un approfondito sistema di sicurezza – continua Lombardi -. Attaccare Sigonella, per esempio, significherebbe mettere in campo una vera e propria azione militare con una forza di fuoco molto più imponente di quel che serve per attaccare siti civili. Inoltre, non va dimenticato che il principale obiettivo dell’Isis, al momento, è quello di diffondere terrore e insicurezza: in tal senso – sottolinea il coordinatore di Itstime – veicolare il messaggio per cui anche andando a un concerto o al ristorante si rischia di morire, è molto più efficace che prendere di mira i militari».
Fino a quando l’Italia rimarrà estranea agli attacchi? «Partiamo dal presupposto che l’intelligence italiana e le forze dell’ordine stanno facendo un buon lavoro, come dimostrato dall’operazione che a Merano, proprio il giorno prima degli attentati a Parigi, ha portato all’arresto di 17 aspiranti jihadisti – spiega lo studioso -. A ciò poi va aggiunto il contesto sociale diverso rispetto a quello francese». Il riferimento è ai foreign fighters, i cittadini europei che decidono di affiliarsi alle milizie dell’Isis per poi, spesso, ritornare in patria: «In Francia se ne contano circa 1.500 a fronte dei circa 90 individuati in Italia – aggiunge Lombardi -. A ciò vanno aggiunti i dati riguardanti i cosiddetti «radicalizzati», coloro che sostengono l’ideologia dell’Isis fornendo supporto di natura non militare». Anche in quest’ultimo caso, i numeri dicono che in Francia «sono circa 12mila, mentre nel nostro Paese non raggiungerebbero quota mille».
Ultima battuta, infine, per quanto riguarda le recenti dichiarazioni del vicepresidente della commissione Antimafia Claudio Fava, secondo il quale la Sicilia potrebbe essere fuori dal rischio di infiltrazioni terroristiche per la presenza della mafia. Parole su cui si è espresso in maniera chiara lo storico Salvatore Lupo. «Pensare che la mafia sia determinante nel tenere lontano i terroristi rischia di veicolare una dimensione romantica che non appartiene alla realtà – commenta Lombardi, sposando la testi di Lupo -. Piuttosto, quello su cui bisognerebbe concentrarsi sono i possibili rapporti commerciali tra criminalità organizzata e terrorismo. L’Isis ha bisogno di un flusso continuo di denaro per esistere ed è per questo che è attivo nel traffico di armi, droga ed esseri umani. In tal senso – conclude lo studioso – più che come deterrente, bisogna ragionare sulla mafia come eventuale partner commerciale del terrorismo».
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