«Lo definirei quasi un miracolo. Speriamo che ci si possa muovere verso un cammino univoco con le altre religioni». A dirlo è il palermitano Giuseppe D’Angelo, legato all’ebraismo dalla tenera età di 13 anni, che commenta con entusiasmo il gesto compiuto dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. Il presule ha donato all’Unione delle Comunità ebraiche l’Oratorio di Santa Maria del Sabato, un edificio seicentesco situato proprio in quello che fu l’antico quartiere ebraico della Meschita, in pieno centro storico, cuore pulsante di Palermo. La comunità riavrà finalmente una sinanoga. Sono passati ben 525 anni, infatti, dalla sua cacciata dalla Sicilia. L’ultima attestazione degli ebrei risale, infatti, al 1492, epoca in cui i sovrani di Spagna, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona emanarono un editto di espulsione dai loro possedimenti. Molti ebrei decisero di lasciare l’isola per non tradire la propria confessione religiosa. Altri, invece, optarono per una finta abiura, continuando in segreto a essere fedeli al proprio credo.
«Questo gesto conta moltissimo per noi, rappresenta un atto di distensione e di amore reciproco – torna a dire D’Angelo -. Il cardinale Lorefice sta restituendo ciò che in passato è stato tolto alla comunità, sta restituendo una delle tante sinagoghe sconsacrate e all’epoca convertite al cattolicesimo». Un vero e proprio «gesto di apertura e l’inizio di un cammino fra le religione, qualcosa di non discriminante», per dirla ancora con le parole del fedele. Ma Palermo potrebbe fare di più per la comunità ebraica? «Sicuramente potrebbe avvicinarsi – commenta D’Angelo – Quando ci sarà la sinagoga aperta, per esempio, chiunque potrebbe andarla a visitare», sarebbe un modo secondo lui per cominciare a vivere l’ebraismo dal punto di vista religioso, ma non solo. Sarebbe soprattutto un’opportunità per conoscere meglio la piccola comunità ebraica palermitana, composta da circa una ventina di persone.
Secondo D’Angelo, però, potrebbero esserci molti più ebrei nel capoluogo siciliano. La diaspora contribuì a cacciarli via o a indurli a nascondersi, e qualcuno ancora oggi potrebbe pensare che è meglio non divulgare il proprio credo. «Frequentare la sinagoga potrebbe contribuire a far cadere molti preconcetti sugli ebrei, pregiudizi che da secoli affliggono questo popolo – continua -. La comunità è piccola, molti in passato se ne andarono e altri si nascosero per la paura. Paura che esiste ancora oggi da parte di tanti, è atavica». Seppur pochi, infatti, accadono ancora oggi episodi di antisemitismo, nonostante Palermo sia storicamente culla del multiculturalismo.
«Sono episodi circoscritti qui, ma sono latenti, malgrado l’apertura di una città cosmopolita come la nostra, con la sua storia e le sue radici – aggiunge -. Ho vissuto personalmente dure critiche e attacchi verbali in maniera del tutto gratuita proprio per via della mia appartenenza all’ebraismo. Credo sia soprattutto un fatto di non conoscenza». Avere un luogo in cui riunirsi, oltre che pregare, potrà permettere a chiunque di avere accesso alla storia di questa comunità. «Per noi tutto questo – conclude – è un po’ come raggiungere la Terra Santa».
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