Tra abbandono scolastico e mancanza di servizi e luoghi di aggregazione, i ragazzi sono sedotti da modelli criminali. «Qui vivono adolescenti che non hanno mai visto piazza Duomo e non sono mai stati al cinema», è la denuncia delle associazioni del quartiere
Librino e i «figli di un dio minore» senza diritto di cittadinanza «Non sanno di essere parte della città e spacciano a dieci anni»
«Molti bambini crescono con il padre in prigione e la madre costretta a prostituirsi. In uno stato di abbandono, ignoranza ed estremo bisogno, senza la possibilità di fruire di alcun servizio sociale. Il minore finisce presto con l’aggregarsi a bande di coetanei, che compiono i primi furti per poi passare, con l’età e l’esperienza, alle rapine e all’ingresso nella malavita organizzata». Era il marzo del 1990 e queste erano le parole usate nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie dopo la visita a Catania. «A distanza di 32 anni, questo ritratto è ancora di assoluta e drammatica attualità». Almeno nei quartieri su cui si è concentrata l’inchiesta della commissione regionale antimafia sulla condizione minorile: San Giorgio, San Cristoforo, Zia Lisa e Librino. Periferie in cui il tasso di abbandono scolastico è di gran lunga superiore alla media già alta dell’isola che ha il primato in Italia. Vivono lì molti di quelli che il presidente Claudio Fava ha definito «figli di un dio minore che devono diventare figli di tutti e avere un pieno diritto di cittadinanza».
E, considerato il punto di partenza, ce n’è di strada da fare. «Per i ragazzi di Librino, Catania è un’altra città», ha spiegato Cristina Cascio, dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Angelo Musco e coordinatrice d’area sulla dispersione scolastica. E a vederla così, in realtà, sono anche gli adulti. Perfino quelli che, da posizioni di vertice nelle istituzioni, potrebbero cambiare le cose. «Noi, presidi della zona – ha sottolineato Cascio – sollecitavamo l’attivazione di succursali di scuole superiori di secondo grado su questo territorio, ma i colleghi manco ammazzati volevano venire a lavorare qui. Perché superare il limite invalicabile del cimitero ed entrare in questa zona significava andare nel Far West». Al punto che, per anni, l’ex provincia ha preferito pagare un canone annuo di affitto di circa 800mila euro pur di mantenere in viale Vittorio Veneto la sede dell’istituto d’Arte invece che trasferirla in un plesso disponibile gratuitamente a Librino che è rimasto abbandonato e «oggi è un rottame in condizione di estrema fatiscenza».
Oltre alle strutture totalmente abbandonate – che sarebbero perfettamente funzionanti – ci sono poi quelle inagibili e incomplete. «Se si prova a cercare su Google Maps, molte scuole non le si trova – ha ammesso l’assessora alla Scuola Barbara Mirabella – perché sono state inaugurate ma mai collaudate». È il caso dell’istituto San Giorgio, nell’omonimo quartiere, rimasto incompiuto. «Come quelle belle donne che si sono rifatte e dietro sono però delle persone anziane». Una «battuta infelice» dell’assessora Mirabella per sua stessa ammissione. E non è un problema solo contenitori ma anche di contenuti. Alle segnalazioni di dispersione scolastica, le risposte dei servizi sociali arrivano dopo mesi e spesso non sono risolutive. «Se segnaliamo una presenza irregolare a gennaio – ha testimoniato la preside Cascio – la risposta arriva ad aprile. Ed è: “Ho parlato con la mamma, mi ha garantito che la ragazzina frequenterà, problema risolto“. Una questione che l’assessore al ramo Giuseppe Lombardo minimizza come «casi sporadici e isolati dove purtroppo la comunicazione tra noi e le scuole non è stata efficiente».
Il problema è il quartiere satellite, oltre alla scuola, non ha molto altro altro da offrire. E per i più giovani il rischio, che si fa sempre più concreto, è di restare sedotti da modelli e comportamenti criminali. «Abbiamo smantellato diverse piazze di spaccio e abbiamo documentato un coinvolgimento diretto dei minori», ha riferito il comandante dei carabinieri di Fontanarossa Giuseppe Battaglia parlando anche di bambini di dieci anni che vendevano droga per strada. «Giovani che diventano prede facili per le mafie che li retribuiscono anche bene», ha analizzato la vicedirigente della divisione di Anticrimine della questura Stefania Marino. Un quadro in cui pesa anche la mancanza di luoghi di cultura, spazi di aggregazione, di parchi o di un cinema. A supplire, come possono e senza grande sostegno da parte delle istituzioni, sono le associazioni attive nel quartiere.
«Molti dei nostri ragazzi non erano mai stati in piazza Duomo né ad Aci Castello». A organizzare le gite in centro e nei luoghi visitati da turisti che arrivano da tutto il mondo sono i volontari dell’associazione Talità Kum. «Per gli abitanti del quartiere – sottolinea la coordinatrice Maria Elena Trovato – la città è un’altra cosa, non sanno di essere parte di questa città. Alcuni ragazzi e anche le loro mamme non erano mai stati nemmeno al cinema». A proporre la strada che bisognerebbe intraprendere è stato l’avvocato Guglielmo Barletta, portavoce della Rete Sociale Librino: «Se si vuole scommettere e cambiare il quartiere bisogna prendere il ragazzo e riempirlo di tutte le necessità di cui ha bisogno per essere un uomo completo del domani». E invece, al momento, al di là del campo da rugby dei Briganti che è stato appena riconsegnato, non c’è molto: il centro diurno dell’associazione Primavera onlus che si occupava di centinaia di bambini e ragazzi è stato chiuso, mentre è rimasto uno scheletro abbandonato il teatro Moncada, che era sorto a pochi passi dal Palazzo di cemento. Una struttura che per anni è stata il simbolo del degrado come centro di potere della famiglia mafiosa degli Arena e centrale dello spaccio e che oggi, non senza difficoltà, ospita alloggi popolari.