Libia, le cronache dal vertice al di là della zona rossa Tra attese, ansia per il menù e problemi con l’inglisc

La due giorni palermitana del vertice sulla Libia si è conclusa. I residenti di Acquasanta e parte di Arenella sonostati liberati dalla morsa delle forze dell’ordine che avevano ben delineato il perimetro attorno a villa Igiea per garantire la sicurezza delle delegazioni dei trenta Paesi ospitati. Ma come si è svolta la vita frenetica all’interno della zona rossa? Le prime facce basite che abbiamo incontrato sono state quelle di una coppia di vecchietti diretti in auto verso il cimitero dei Rotoli. Fermati al posto di blocco in via Guli, poco prima di piazza Acquasanta, si sono sentiti dire dagli agenti di polizia che avrebbero dovuto «fare il giro da Mondello». Il loro timido tentativo di rimostrare per una deviazione non prevista di diversi chilometri si è limitato a un «ma…» rimasto strozzato in gola. Noi, fortunatamente, abbiamo il pass, quindi possiamo entrare, ma subito il sistema va in crisi.

Avevano previsto l’arrivo dei cronisti a piedi e con le auto, che avrebbero dovuto lasciare poco distanti dai check point di sicurezza, ma cosa fare se un giornalista arriva in bici? Dopo lunghe discussioni, versioni contrastanti e ripensamenti, arriva la sentenza: la bicicletta deve rimanere fuori dalla zona rossa. Torniamo indietro in cerca di un palo che vada bene alle autorità, impresa non facile. Ne troviamo uno ben lontano dal posto di blocco – vicino proprio non si può – ma a mettere la parola fine sulla questione ci pensa la magnanimità di una pattuglia della Municipale, che consiglia un’altra zona, più vicina e soprattutto «più illuminata, che non si sa mai…». Per la cronaca, sul versante Nord lo stesso destino è toccato a un cronista svizzero. Lui la bici l’ha lasciata nei pressi della Fiera del Mediterraneo. Superata, a piedi, l’Acquasanta la bella immagine che si presenta è quella dei residenti di salita Belmonte, normalmente molto trafficata, che si godono l’assenza delle auto prendendosi il fresco davanti casa, con i bambini che giocavano a pallone e gli adulti persi nelle chiacchiere. 

Il menù

Giunti a villa Igiea e superati tutti i controlli, il tema della prima serata è sicuramente quello relativo all’arrivo o meno del generale libico Haftar. La sala stampa è gremita, sembra quasi un ricevimento di nozze, solo con i computer portatili al posto dei piatti. Siamo confinati lì, con la possibilità di prendere un po’ d’aria nello stretto spazio riservato all’esterno. Le auto blu delle delegazioni arrivano una per volta, ma difficilmente si riesce a capire chi trasportino, eccezion fatta per i partecipanti del Qatar, visti gli abiti difficili da confondere. Ogni tanto si fa vedere un rappresentante di palazzo Chigi, che dà in pasto qualche dettaglio, di solito poco utile, alla stampa. Il vero protagonista però è Rocco Casalino. Il suo arrivo in sala stampa è risolutore: «Si apprende da fonti diplomatiche – dice – che Haftar è in volo e sarà qui in un’ora. Sarebbe molto importante per noi avere tutti i rappresentanti libici qui a Palermo». Era la notizia che tutti aspettavano, tanto da scatenare scene curiose, con giornalisti in piedi sulle sedie per carpire le parole del portavoce del premier Conte. Altri cronisti, invece, pensano più al sodo e inseguono Casalino fino all’uscita al grido di: «Cosa mangeranno?» «Com’è il menù?». Il portavoce ha però glissato su queste ultime, imprescindibili, domande. Salvo poi ripensarci. Così, dopo pochi minuti, ecco presentarsi un responsabile della comunicazione che ci mostra, anche se per pochi secondi, il tanto ambito menù. Sempre per la cronaca, cena abbastanza leggera a base di pesce. A seguire sarà la volta della lista ufficiale dei partecipanti, presentata da Casalino in sala stampa: «Abbiamo la lista, magari la mandiamo a qualcuno e ve la passate tra di voi». Dopo un po’, per fortuna, capiscono che siamo un centinaio di persone, provenienti oltretutto da molti Paesi diversi, e decidono di stamparne qualche copia.

La giornata si conclude in tarda serata, con la presentazione in grande stile delle delegazioni, che chi era sprovvisto di telecamera o macchina fotografica ha potuto vedere solo dal maxischermo in sala stampa che, forse per un qualche sabotaggio bolscevico, mostrava tutte le immagini filtrate di rosso. In fine l’arrivo di Haftar, l’uscita della Turchia e Conte che fa visita ai cronisti temerari che hanno resistito fino alla fine. Tornando verso la bici, in salita Belmonte sono rimasti solo gli adulti, che sembrano impegnati in uno strano gioco con delle scope. Solo avvicinandosi si capisce che stanno inseguendo un topo. Ché va bene il vertice e le autorità, ma siamo pur sempre a Palermo. Li ritroveremo lì l’indomani mattina, poco prima del momento clou della “foto di famiglia” con tutti i delegati. Cerimonia filata via liscia, senza intoppi o sorprese, tanto che tra i cronisti qualcuno rimpiangeva l’epoca di Berlusconi e delle sue boutade durante le foto di gruppo. Poi solo attese, lunghe, lunghissime attese.

La conferenza stampa conclusiva avrebbe dovuto tenersi alle 13.30. A quell’ora, tuttavia, un uomo della sicurezza avverte la stampa che si sarebbe tenuta «tra mezz’ora», mantra che verrà ripetuto più e più volte, non considerando tuttavia che tra i presenti quelli di lingua italiana erano poco più della metà. Emblematica la faccia di un cronista straniero che, dopo avere chiesto all’uomo «In english please» si è visto rispondere: «No, niente inglisc, devi stare fermo lì». Intanto le delegazioni iniziano ad andare via. Qualcuno si ferma a parlare con i giornalisti del proprio Paese, qualcun altro tira dritto. Dopo due ore di «tra mezz’ora», viene comunicato che la conferenza stampa sarà alle 16.30. Sarà l’epilogo di una due giorni di lavoro, controlli, attese e speranze, quelle dei libici, le cui sorti sono state discusse quanto meno di fronte a buon cibo e in una cornice di tutto rispetto. Con l’augurio che ne sia valsa la pena, almeno per loro. 


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