Ambasciator non porta pena. Il noto proverbio, nel caso dell’avvocato Grazio Ferrara, detto Orazio, non ci ha preso. Il legale 39enne è stato arrestato ieri con l’accusa di associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione Exitus.
Secondo gli inquirenti, sarebbe stato l’ambasciatore del capomafia gelese Salvatore Rinzivillo quando si trovava detenuto in carcere. «Io c’ho tanto di cosi in mano, tanto di faldone c’ho, iu chi ci vaiu c’un fogghiu? Ci vaiu c’un burdellu i fogghi, mi controllanu trimila pagine? (io che ci vado con un foglio? Ci vado con un bordello di fogli, mi controllano tremila pagine? ndr)». È da questa conversazione intercettata nell’auto del legale che si evince la modalità con cui Ferrara e il suo cliente si scambiano i messaggi. Dialoghi fatti di mezze frasi e gestualità. Il piano scelto per comunicare senza essere intercettati dalle cimici era la scrittura o il passaggio di fogli di giornale, come provano anche alcune immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza della sala colloqui della casa circondariale di Terni.
Approfittando della possibilità di potere conferire con lui in quanto legale, Rinzivillo avrebbe dato disposizioni di riferire ordini e direttive all’esterno del carcere. «Chistu mu resi (questo me lo ha dato, ndr) Salvatore Rinzivillo in carcere», dice l’avvocato Ferrara mentre consegna un pizzino. Al contrario, l’avvocato si sarebbe anche fatto portatore all’interno delle mura carcerarie di comunicazioni di altri sodali in libertà indirizzate al capomafia.
Dopo l’arresto di Rinzivillo nell’ottobre del 2017, dunque Ferrara viene nominato suo difensore di fiducia. I rapporti tra i due, però, erano nati già nei mesi precedenti. Il primo contatto diretto avviene a febbraio. È l’avvocato a chiamare il capomafia per chiedergli di scendere sotto casa, dove lui si trovava già. Da quel momento, i contatti telefonici e gli incontri si intensificano e, specie nei periodi di permanenza di Rinzivillo a Gela, diventano quasi quotidiani. Un «rapporto sempre più stretto che andava al di là della professione forense», puntualizzano gli inquirenti.
Tra i due la relazione si consolida anche tramite conversazioni telefoniche per lo più brevi e lapidarie – che cominciano spesso con «Dimmi tutto gioia» – nelle quali i due sembrano intendersi con mezze parole, utilizzate per accordarsi sui luoghi degli incontri «per discutere di presenza degli incarichi che Rinzivillo gli dà per conto della cosca mafiosa». In particolare, la mansione di Ferrara sarebbe stata quella di contattare terze persone – delle quali stanno attenti a non fare nomi – che Rinzivillo ha bisogno di incontrare per portare avanti i suoi affari illeciti. Non solo chiamate, i due avevano anche ripreso una vecchia abitudine in uso soprattutto tra i giovani negli anni Novanta: gli squilli, che per gli inquirenti avrebbero significato «l’esigenza di mettersi quanto prima in contatto».
Oltre a fare da messaggero per Rinzivillo quando era detenuto, Ferrara avrebbe anche accompagnato il capomafia – ancora libero – a incontri con altri esponenti mafiosi con cui avrebbe anche intrattenuto rapporti personali. In particolare, con Carmelo Collodoro di Cosa nostra gelese, con Santo Napoli della famiglia barcellonese, con Paolo Rabito della famiglia mafiosa di Salemi e con Roberto Salerno reggente della famiglia di Vittoria. Ferrara è stato anche l’avvocato difensore di Luigi Rinzivillo (cugino di Salvatore e storico sodale del clan) e pure con lui, stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, «aveva intessuto un rapporto fiduciario che travalica il ruolo professionale». Esempio ne è il fatto che quando in ballo c’è quello che Luigi chiama «un progetto bello bello», l’avvocato chiede di essere tenuto in considerazione e, dopo la rassicurazione, aggiunge «al di là di tutto, a mia a cosa chi m’interessa è l’amicizia, poi tutti l’autri cosi…».
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