L’avvocato e la truffa agli ex lavoratori della Multiservizi Assistiti ignari e assegni intascati con procure speciali

Per i suoi clienti si occupava delle vertenze nei confronti della Multiservizi, la partecipata del Comune di Catania, riuscendo a ottenere anche cospicui indennizzi. Ma quei soldi li avrebbe trattenuti quasi tutti per sé, decidendo poi di mascherarli nei conti dei genitori ignari e di investirli nell’apertura di alcune polizze assicurative. Il sistema scoperto dalla guardia di finanza del comando provinciale etneo è quello che avrebbe creato, tra il 2014 e il 2017, l’avvocato G. F. C.. Adesso è finito agli arresti domiciliari, accusato di truffa aggravata e autoriciclaggio. Nelle carte dell’inchiesta viene ripercorso, passo dopo passo, tutto lo stratagemma che il legale avrebbe architettato negli anni. A partire dalle procure speciali che i suoi clienti gli affidavano, tranquilli nel mettere tutto nelle mani del civilista. L’uomo però avrebbe  comunicato loro soltanto «soltanto ciò che gli era utile». Così, sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti, sono finite 180 cause del lavoro, collegate a fatti del 2011, in occasione del maxi-licenziamento da Multiservizi per la cessazione dell’appalto di pulizia delle scuole comunali.  

Nei procedimenti davanti al giudice del lavoro, stando alla ricostruzione, gli ex lavoratori avrebbero ottenuto il reintegro e indennizzi pari a cinque mensilità. A questo punto entravano in scena la banca della società debitrice, che si occupava di liquidare i soldi, e l’avvocato con le procure speciali affidategli dai clienti. «Tali somme venivano incassate in parte in contanti – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – e in gran parte riversate su un conto corrente intestato ai genitori dell’indagato». Un castello con fondamenta apparentemente solide. Gli scricchiolii incominciano quando un cliente, ed ex lavoratore, presenta una denuncia. L’uomo lamenta di avere ottenuto il reintegro e una comunicazione dal Credito Siciliano per un versamento di novemila euro. Soldi che però non aveva mai intascato. L’istituto però, dopo la richiesta di chiarimenti, replicava trasmettendo la copia di tre assegni finiti nelle mani del legale e poi cambiati nella sua banca.

Davanti alla polizia giudiziaria l’avvocato prova a giustificarsi ma la sua tesi non convince le forze dell’ordine. Il civilista conferma di avere intascato quei soldi ma solo perché il suo cliente sarebbe stato inadempiente nei suoi confronti per il pagamento delle parcelle. Allega anche un decreto ingiuntivo, che gli avrebbero riconosciuto la somma di quasi cinquemila euro, ma il documento porta la data di un anno dopo rispetto a quando i titoli vengono scambiati. Il modus operandi sarebbe stato lo stesso anche nei confronti di altre vittime. «Si appropriava di somme a loro insaputa – si legge negli atti – mistificando la condotta truffaldina dietro una parvenza di legalità». Oltre al danno la beffa perché qualche cliente, convinto di essere debitore nei confronti del civilista, gli avrebbe continuato a versare i soldi. «L’avvocato procedeva con ulteriori azioni giudiziarie nei confronti del singolo cliente pretendendo il pagamento delle prestazioni professionali, tanto da pignorare in un caso la pensione di un ex assistito».

Messo con le spalle al muro il professionista non si sarebbe comunque arreso, cercando di «aggiustare il suo operato» avvicinando alcuni lavoratori quando a questi ultimi arrivava la convocazione della guardia di finanza. Il meccanismo in questo caso, stando all’accusa, prevedeva il tentativo di emissione di fatture false e ricevute di pagamento retrodatate da fare sottoscrivere «spingendosi a minacciare» uno di loro «di fargli pagare ulteriore spese». In quattro anni, secondo la guardia di finanza, l’indagato avrebbe incassato somme per 756mila euro. Adesso finiti sotto sequestro preventivo, come chiesto dalla giudice dalla procura etnea Giuliana Sammartino.

Un capitolo a parte è quello che riguarda l’ipotesi del reato di autoriciclaggio. Perché i soldi l’avvocato li avrebbe fatti girare. Una parte, ipotizza la finanza, con versamenti su un conto intestato agli ignari genitori dell’uomo finito ai domiciliari. Da qui il secondo step con lo spostamento su un deposito postale della mamma del civilista e in una polizza vita. In tutto sarebbero stati 269 gli assegni che avrebbero affrontato questa trafila. «Operazioni simili venivano perpetrare anche grazie alla compiacenza degli impiegati che conoscevano l’avvocato e non nutrivano dubbi sull’autenticità delle firme dei genitori».


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