Oggi Palermo celebra la memoria del commissario Antonio Cassarà, del suo agente Roberto Antiochia e del procuratore capo Gaetano Costa. Tre servitori dello Stato, che per uno strano caso del destino, sono caduti sotto i colpi di Cosa nostra lo stesso identico giorno, seppur a cinque anni di distanza l’uno dall’altro. Nel caso di Cassarà, infatti, sono passati 30 anni esatti dal 6 agosto del 1985 quando un commando mafioso uccise a colpi di kalashnikov il capo della sezione investigativa della squadra mobile di Palermo in viale Croce Rossa. Per ricordarlo, oggi alle 9, è prevista una cerimonia alla squadra mobile nella caserma Lungaro, in corso Pisani. Costa, invece, fu assassinato dalla mafia il 6 agosto 1980, mentre sfogliava dei libri su una bancarella, in un marciapiede di via Cavour, a due passi da casa sua, freddato da tre colpi di pistola esplosi alle sue alle spalle da due killer in moto.
Anniversari, questi, che in estate si susseguono uno dopo l’altro, con il rischio di passare inosservati. Come ieri, nel caso del poliziotto Antonino Agostino, l’agente di Polizia colpito a morte da sicari della mafia il 5 agosto di 26 anni fa mentre era a Villagrazia di Carini con la moglie Ida Castelluccio, sposata appena un mese prima ed incinta di cinque mesi. Vittime che spesso, complice la calura estiva, non ricevono lo stesso trattamento mediatico di altre “più illustri”, come i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, assurti ormai a simboli della lotta a Cosa nostra. Proprio ieri, a ricordare Agostino sul luogo dell’eccidio, oltre a papà Vincenzo e alla famiglia, al prefetto e al questore, c’era anche Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo che quasi ogni anno prende parte a queste cerimonie convinto fermamente dell’importanza della memoria nella lotta alla criminalità organizzata.
Sul rischio che possa esistere una distinzione nel trattamento mediatico tra le “vittime di serie A e quelle di serie B”, Salvatore riconosce e ammette l’esistenza di una sorta di «classificazione». Anche se spesso, essere parenti di vittime di serie A, comporta «grosse problematiche». «O stai zitto e tranquillo – dice a MeridioNews – e partecipi una volta l’anno alle ricorrenze oppure, se chiedi verità e giustizia, ti succede di esser attaccato per qualunque cosa fai. Come quando ho abbracciato Massimo Ciancimino per la scelta coraggiosa che aveva fatto decidendo di testimoniare al processo sulla trattativa». Secondo Borsellino ti possono piovere addosso critiche pesantissime, anche sentirsi dire che «il tuo congiunto si rivolta nella tomba per quello fai».
Se è vero che per le vittime di serie B «non c’è clamore mediatico», per lui, quest’assenza di visibilità non sempre si traduce in qualcosa di negativo, soprattutto se l’amplificazione dei media viene «utilizzata per affermare che l’antimafia è morta, che in via D’Amelio c’è il deserto, da giornalisti che nemmeno vengono alle manifestazioni mentre la verità su cosa sia successo allora è ancora oggi un mistero». Per Borsellino, che da anni chiede giustizia e attende una parola definitiva dalle aule dei tribunali, nemmeno dalla politica giungono buone notizie. Come nel caso delle presunte intercettazioni, la cui esistenza è stata poi smentita da tutte le Procure, tra il presidente della Regione Rosario Crocetta e il suo medico personale ed ex primario a Villa Sofia Matteo Tutino.
Indubbiamente «non è stata una bella pagina della politica siciliana» ammette Borsellino ma sulla vicenda del governatore, comunque, non si sbilancia fino a quando non sarà chiaro «se queste intercettazioni esistono veramente oppure no. Posso fare solo delle supposizioni – aggiunge – o si è trattato di una montatura per eliminare un politico che non riescono a togliere di mezzo in altra maniera oppure la vicenda è stata montata ad arte per far sì che Lucia si dimettesse dal suo incarico di assessore dove era sentita come scomoda». Infine, con molto ironia conclude: «Ad ogni modo, mi trovi una bella pagina della politica siciliana e la ringrazierò».
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