L’acqua dei Monti Sicani è dei cittadini!

da Luigi Capitano
(docente di filosofia, dottore di ricerca, iscritto al comitato di Liberacqua)

Ieri sera, 2 agosto 2013, si è svolta a Santo Stefano Quisquina,n provincia di Agrigento, una fluviale seduta-adunanza pubblica in sede di Consiglio comunale allargato alla cittadinanza per affrontare la questione del decreto regionale del 12 luglio scorso che in pratica dà ragione alla Nestlè, consentendole di prelevare acqua da imbottigliare a fini commerciali fino a 20 l/s (litri al secondo) dalla Quisquina sui Monti Sicani, al centro di un bacino già predatoriamente rapinato dal Consorzio del Voltano per un potenziale idrico di 472,2 l/s, stando al nuovo piano degli acquedotti approvato dall’ex presidente della Regione, Raffaele Lombardo.

Segue il testo del mio intervento, qui lievemente ritoccato:

SULLE FONTI DELLA QUISQUINA LA NESTLE’, COME IL CONSORZIO DEL VOLTANO, GIOCANO AL RADDOPPIO PER UN VOLUME COMPLESSIVO DI ACQUA VERTIGINOSO E INSOSTENIBILE. VOGLIAMO PROVARE A SVEGLIARCI UN PO’?

Si direbbe che la Sanpellegrino-Nestlè sia riuscita ad ottenere il raddoppio delle proprie prerogative di sfruttare un bacino idrico – quello della Quisquina – che dovrebbe invece servire ad alleviare la sete di una delle province più assolate e aride di tutta l’Isola: la nostra, dove il malaffare anche mafioso e la raccomandazione politica continuano purtroppo a imperversare. Spopola in questi giorni su youtube un’intervista all’ex presidente della provincia d’Agrigento Eugenio D’Orsi, il quale ammetteva candidamente che quando lui elargiva una raccomandazione, si informava prima sull’albero… “ginecologico” del raccomandato! Fortunatamente a D’Orsi è stato revocato l’incarico di commissario straordinario all’Ambito territoriale davvero così poco ‘ottimale’ che avrebbe dovuto occuparsi della gestione della nostra acqua.

Una gestione privata disastrosa e fallimentare, quella della Girgenti Acque, che impedisce di poter parlare di un vero ‘servizio idrico’ nella nostra martoriata provincia, che pure vanta le rovine – ma solo le rovine – di un’antica quanto dimenticata civiltà. Per non parlare di quei politici locali che, dopo aver cavalcato l’onda dell’acqua pubblica, si sono ritrovati a raccomandare diversa gente per il gestore privato Girgenti Acque.

Sullo sfondo dell’ennesimo misfatto annunciato, il minimo che l’onesto cittadino possa pretendere dai rappresentanti degli organi delle istituzioni e degli enti locali è di mantenere almeno un briciolo di dignità nella coerenza. (Quanto alla tutela del bene comune e alla buona fede, è forse chiedere troppo?). Ora, le incongruenze nelle cifre e nei dati offerti dagli stessi organi preposti alla tutela dell’acqua pubblica appaiono spesso, a mio avviso, di una evidenza palmare. E non parlo delle contraddizioni palesi nelle quali sono spesso caduti gli stessi portavoce della Nestlè, dall’amministratore delegato Marco Settembri a Manuela Kron; contraddizioni sintomatiche e istruttive, che sono state puntualmente e opportunamente smascherate già a suo tempo.

Vorrei invece parlare di quelle che a me sembrano alcune inconseguenze dei cosiddetti “organi competenti” in materia. Ad esempio, prendiamo per buono lo studio disposto negli anni Duemila da una speciale commissione promossa dalla Prefettura di Agrigento per dirimere la controversia tra il Comune di Santo Stefano Quisquina e la Nestlè. Tale commissione tecnica giungeva nel 2008 alla conclusione che la portata massima di emungimento dei pozzi di Margimuto non avrebbe dovuto assolutamente superare la portata di 25 l/s., come dichiarava lo stesso Genio Civile! Ora, se si sommano i 20 litri concessi oggi alla Nestlè agli altri 50 l/s di potenziale idrico concesso sulla carta sempre dalla Regione – vedi piano degli acquedotti 2011 – al Consorzio del Voltano sui pozzi ex Montedison in contrada Margimuto, si ottiene un potenziale idrico di 70 litri, che rappresenta un volume di tre volte la portata massima consentita e raccomandata dal Genio Civile. Si dirà che tali pozzi – fatti chiudere dallo stesso Genio Civile trent’anni fa, cioè quando la sorgente di Capo Favara si essiccò complatamente nel 1989 – non sono stati ancora riaperti e che non lo saranno certo in tempi brevi. Sta di fatto che almeno sulla carta essi rimangono utilizzabili in un incerto domani, senza contare che se il comune di Santo Stefano Quisquina ambisce anche lui a un punto di approvvigionamento alternativo proprio in contrada Margimuto, qualora dovesse riuscire ad ottenerlo, si sommerebbero i 20 litri della Nestlè a quelli del fabbisogno idropotabile della popolazione quisquinese (mettiamo: 18-20 litri), superando, anche se di poco la soglia consentita dalle autorità competenti.

In effetti, quando avvenne l’essicamento di Capo Favara da Margimuto venivano emunti 40 l/s. A ciò si aggiunse il famoso “buco” della galleria trivellata dal Consorzio del Voltano per collegare fra di loro i due laghi Leone-Fanaco, aprendo uno squarcio di centinaia di litri al secondo, a conferma del fatto che più di tanto il nostro bacino non può essere emunto. La questione poi, come sappiamo, riguarda più in generale un intero bacino che è stato studiato a partire dalla metà degli anni Sessanta (Trevisan) fino alle soglie del Duemila (Martorana), passando per i decisivi studi, non ancora superati per la loro accuratezza scientifica, di Alaimo e Daina degli anni Novanta. Mi chiedo, sia pure da profano in materia: come può un bacino che è unico per 30-40 anni di fila smettere di esserlo da un giorno all’altro?

I tempi geologici, si sa, sono proverbialmente più lenti di qualunque altro tempo al mondo, se si fa eccezione – dico per scherzo – per il tempo biblico che occorre alla politica per evolvere verso l’idea del bene comune. Stiamo poi parlando di un bacino che è stato praticamente consegnato dall’ex presidente della Regione Lombardo in mano al Consorzio del Voltano, come dire alla Girgenti Acque (visti gli intrecci di interesse societario intercorrenti fra le due entità). Al Consorzio del Voltano viene dunque assegnato sulla carta il controllo su un complesso di sorgenti che totalizzano un volume di 427, 2 l/s (cfr. p. 570 del PRGA 2011 approvato nel 2012). Non ho sentito nessuno fra i politici anche locali parlarne e soprattuto parlarne a tempo debito.

Il volume complessivo di tutte le sorgenti afferenti all’unico bacino, per chi volesse passarsi il tempo a calcolarlo, Piano regionale degli acquedotti alla mano, supera abbondantemente i circa 700 l/s circa a suo tempo consentiti, approssimandosi al doppio del volume raccomandato dallo stesso Genio Civile. E parliamo di sorgenti la cui situazione giuridica, a cominciare da quella di Capo Favara (da cui nominalmente viene emunta una quantità di appena 15 litri…), non è stata ancora minimamente chiarita, essendo finita non si sa bene come, anche se certamente per responsabilità di qualche passata amministrazione, in mano alla Girgenti Acque.

Quindi ad essere interessato è un enorme bacino, insieme alle popolazioni di almeno due province ad esso, in misura diversa, afferenti: Agrigento e Caltanissetta (senza calcolare i bacini interfluviali viciniori – fra il Verdura e il Magazzolo – e di quelli intorno a Prizzi). Ma la questione tocca poi direttamente la democrazia con la quale si dovrebbe liberamente poter decidere del destino di un bene comune (che solo in bocca a qualche politicante può diventare un “luogo comune”), da sottrarre alle grinfie degli speculatori e degli affaristi privati, così spesso coperti da politici privi di scrupolo e di lungimiranza. Dico questo dopo il referendum del giugno 2011 e la sentenza della Consulta del luglio 2012 che ci danno ragioni da vendere.

Per venire ora al che cosa sia ancora possibile fare da domani, anche a prescindere da come la precedente amministrazione Leto Barone abbia saputo lealmente e validamente opporsi, ripeto quello che dissi un anno fa in questa sede e sempre per affrontare lo stesso problema: non solo l’amministrazione comunale, ma la cittadinanza tutta, possibilmente sostenuta da comitati veramente civici e sperabilmente capaci di coinvolgere anche i giovani, deve sapersi opporre in modo efficace e inequivocabile, con tutte le sue forze e con tutti i mezzi legali, alla logica privatistica e predatoria che sottrae al nostro territorio un bene comune così prezioso ed essenziale come l’acqua in quella che rimane una delle province più assetate d’Italia.

Vorrei poi cogliere l’occasione per affermare la validità di un principio, su una questione contestuale a quella della Nestlè: di competenza del nostro Comune dovrebbe poter essere la gestione non solo dei pozzi di Margimuto (per un eventuale approvvigionamento alternativo), ma soprattutto quelli di Capo Favara (nostra fonte naturale e storica, anche in base a decreti e diritti non ancora scaduti), e di Sant’Elia passati in sordina dal 2012 sotto il controllo del Consorzio del Voltano e in ultimo di Girgenti Acque, nel silenzio sostanzialmente complice della politica locale.

Una sentenza del Tribunale Superiore delle Acque (13/2005) che ci riguarda molto da vicino conforta questa mia analisi condotta a lume di logica, quando afferma il principio che ogni provvedimento riguardante programmi di prelievo deve sempre essere “concertato” insieme al Comune del territorio interessato, specie poi quando rischia di intaccare o di compromettere il suo approvvigionamento idropotabile. Un un anno fa mi chiedevo che significato potesse avere consentire il raddoppio almeno sulla carta degli emungimenti quando gli esperti del bacino e lo stesso Genio Civile consigliavano l’esatto contrario?

La stessa domanda si potrebbe porre oggi anche per la Nestlè: in base a quali criteri o a vantaggio di quali lobby economiche si concede il raddoppio dei prelievi, quando da anni per non dire da decenni si combatte – in modi pure scomposti e non sempre lineari ed efficaci – una battaglia per impedire il peggio, ossia la rottura del fragile equilibrio idrogeologico di tutta quanta l’area dei Monti Sicani?

In tutto questo, non possiamo ignorare la polemica che si è accesa in questi giorni fra l’assessorato all’energia e i sostenitori dell’acqua pubblica (il Forum Siciliano dei Movimenti per l’Acqua Bene Comune anche a nome dei i 135 comuni siciliani promotori della legge di ripubblicizzazione dell’acqua in Sicilia, i 5 stelle siciliani). Tale controversia che sembra cadere in una fase di sbandamento del governo Crocetta, ha registrato fra l’altro un vivace botta e risposta su “LinkSicilia” fra il nostro concittadino, l’artista Alfonso Leto e l’assessore regionale all’energia, Nicolò Marino, cui sono seguiti gli interventi dell’ex sindaco di Racalmuto Petrotto, i miei commenti e di altri ancora. L’assessore Marino, aggrappandosi ai bizantinismi della legge e a notizie compulsate di seconda mano, ha dato ad occhi chiusi ragione alla sentenza del Tribunale Superiore delle Acque di Roma, dimostrando ampiamente di ignorare tutta la problematica del nostro bacino, ma anche le motivazioni di quello stesso Tribunale che rimangono a nostro parere alquanto controverse.

A proposito di contraddizioni degli organi competenti, andrebbe ricordato che fu proprio il Tribunale Superiore delle Acque (con sentenza 13/2005) ad affermare il principio della concertazione fra enti esterni o privati interessati allo sfruttamento delle acque minerali e i comuni interessati alla salvaguardia del bene comune dell’acqua e all’utilizzo di tale risorsa per usi civili.

Quanto alla faccenda dei controlli e dei monitoraggi riguardanti i livelli del bacino, su cui insiste tanto l’assessore Marino, come se un malato emorragico potesse essere salvato da un monitor che lo segue fino alla morte, va osservato che il nostro Comune non offre ai cittadini da anni (per non dire da sempre) notizie ufficiali e trasparenti sui livelli del nostro bacino idrico. È un fatto che denuncio da almeno un anno a questa parte, quando Liberacqua era più presente e puntale nelle sue battaglie. Ma in definitiva anche noi saremmo a favore dei monitoraggi, anzi diciamo: nelle more di un nuovo studio del bacino e di lunghi e congrui monitoraggi, si blocchi ogni nuova pretesa della Nestlè. Così difficile da capire o da far capire ai legali che saranno eventualmente incaricati dal Comune?

Ma il cittadino non dovrebbe avere il diritto di sapere quale è lo stato di salute della fonte cui attinge per bere, così come pure di sapere se l’acqua che esce dai rubinetti è potabile o meno e quali sono gli esiti delle analisi delle autorità sanitarie, visto che si è appena chiusa la farsa di due anni e mezzo del fantomatico norovirus?

Tornando alla questione Nestlè, il monitoraggio dei livelli non può essere demandata esclusivamente ad organi di pseudocontrollo come l’Ente minerario di Caltanissetta che è lo stesso che concede pareri positivi e autorizzazioni ai privati, e tanto meno alla Nestlè, che evidentemente potrebbe essere interessata a sostenere la grande salute del bacino, per essere lasciata libera di sfruttarlo e spremerlo fino all’ultima goccia, salvo poi continuare a investire senza problemi e senza scrupoli i suoi colossali profitti altrove. Anche il Comune di Santo Stefano Quisquina deve quindi farsi carico, insieme ai consorzi concorrenti, dei controlli che riguardano i livelli del bacino, senza eluderli, e comunicandoli di mese in mese ai cittadini.

L’ente preposto a ogni tipo di opposizione legale contro le sempre più assillanti richieste di raddoppi di prelievi, rimane poi sempre il nostro Comune, che dunque deve farsi carico di una responsabilità cui dovrà rispondere un giorno non solo agli elettori e ai cittadini tutti, ma anche ai propri figli e soprattutto alle proprie coscienze. Certo sarà utile agire in sinergia con tutti quei comuni e con tutte quelle altre forze e quei movimenti che lottano per ottenere la liberazione del più vitale degli elementi al mondo dalle grinfie degli interessi privati. Ma anche la società civile deve poter fare la propria parte, scrollandosi di dosso la sua esasperata e pure motivata stanchezza, ricordandosi che cinque anni fa seppe reagire con una forte protesta popolare alla semplice notizia della richiesta dei raddoppi Nestlè.

Oggi che tali raddoppi sono stati autorizzati e resi pubblici sulla Gazzetta Ufficiale Regionale, alla popolazione non resta altro che abbandonarsi alla più fatalistica rassegnazione? L’impatto di una simile multinazionale nel nostro territorio non è certo neutro e tanto meno va a favore della popolazione, tanto è vero che non prevede che io sappia alcun piano di sviluppo a vantaggio del territorio e dell’ambiente. Anzi, al margine di un incantevole parco naturale e nei pressi di un Eremo che attrae centinaia di turisti, a ridosso di una sconnessa e sempre più dissestata strada statale, continua a rapinare centinaia di milioni di litri l’anno, imbottigliati nella plastica e portati via da spaventosi TIR ad un ritmo impressionante, non curandosi del delicato equilibro idrogeologico della zona e tanto meno della bellezza di un paesaggio che viene ferito e oltraggiato ogni secondo che passa.

Alla nuova amministrazione guidata da Francesco Cacciatore auguro sinceramente di trovare tutta la forza e l’efficacia che saranno necessarie per contrastare questo selvaggio assalto alla nostra risorsa più preziosa, non lasciandosi sopraffare da quei vertiginosi e ciechi interessi che quasi certamente cercheranno di infiltrarsi con ipocrita patente di legalità.

Santo Stefano Quisquina, 2 agosto 2013

Post scriptum, 3 agosto 2013

Devo purtroppo confessare che la fluviale seduta di ieri sera è stata per me profondamente deludente, per diversi motivi. Primo: la riunione del Consiglio straordinario è stata richiesta dall’opposizione, quando evidentemente per lunghi venti giorni la nuova amministrazione non aveva ritenuto opportuno o doveroso convocarla di sua sponte. Secondo: la lettura integrale che il presidente Ing. Enzo Greco ha dato della sentenza, fa capire che l’unica cosa positiva che emerge da essa è l’obbligo di monitoraggi controllati, automatizzati e in contraddittorio fra enti e concessionari concorrenti, compreso il comune di Santo Stefano Quisquina, che finalmente sarà costretto a rendere conto ai cittadini dei livelli del bacino.

Per il resto, la sentenza sembra riposare su un vizio di fondo: basterebbero dei monitoraggi per poter procedere al raddoppio degli emungimenti, se poi i livelli del bacino si abbasseranno la colpa sarà di Giove Pluvio, o per dirla con le parole rassicuranti dell’Ing. Enzo Greco, degli scarsi “apporti” dal cielo. Tuttalpiù la colpa potrà essere imputabile ad un fantomatico “intasamento dei pozzi locali” (parola dell’Ossevatorio delle acque!).

Se non si procederà all’attuazione del decreto, come intima lo stesso, dovrà intervenire il Prefetto di Palermo in qualità di commissario (sempre il fantasma dei commissari che aleggia sulle nostre teste!). Terzo: la nuova maggioranza dell’amministrazione quisquinese (formata da una lista civica comprendente elementi del PD, ma anche qualche elemento di peso a quanto pare vicino a Cantiere Popolare e che – pensate un po’! – ha già lavorato come progettista per la Nestlè) non è stata a mio avviso convincente nella sua proposta di rivolgersi a un legale per un valido ricorso, tant’è vero che è arrivata a dire che non ci sono in cassa tanti soldi da spendere. Le parole del sindaco non riescono francamente a rassicurarci più di tanto: come potrà il programmato incontro con l’assessore Marino risolvere le cose? Terzo: il presidente del comitato in difesa dell’acqua Giovanni Capodici (ex capogruppo di opposizione, ex sindaco in altri tempi) è intervenuto per dire che non c’è probabilmente più nulla da fare a questo punto, non essendo stata avanzata una valida opposizione in precedenza, come se proprio lui non avesse avuto facoltà di acquisire tutti di atti relativi in tempo utile per incalzare la vecchia e sonnecchiante amministrazione Leto Barone nel giusto verso.

Invece si può benissimo ricorrere al TAR e anche al Presidente della Regione, come è previsto dallo stesso decreto del 12 luglio, mentre se valga la pena o meno ricorrere, lo lasci almeno decidere agli organi preposti (il Comune in primis) che dovrebbero assumersene, di conseguenza, tutta la responsabilità. Quarto: per l’aria quasi di pur indignata resa, di rabbia impotente (anche se per fortuna non di rassegnazione passiva) che spira dagli interventi di alcuni degli elementi di spicco di quello che resta del comitato in difesa dell’acqua pubblica, che peraltro non si riunisce da mesi, e che era tutt’altro che un regolare comitato civico, essendo formato anche da esponenti di tutte le forze politiche locali a partire dal febbraio 2012. Quinto: i pochi interventi dalla platea, sono forse il sintomo di una flebile consapevolezza della problematica idrica fra i giovani, che mette in questione la capacità della classe docente di svolgere un’adeguata preparazione in tal senso. Sesto, ma non ultimo: leggendo la prossemica e la pragmatica della metacomunicazione dei vari interventi, emerge putroppo – ma questa è una mia sensazione! – che la l’attuale amministrazione si dispone a combattere la Nestlè con la stessa blanda decisione con la quale la precedente amministrazione Leto Barone aveva saputo combattere gli interessi vertiginosi della Girgenti Acque.

Non starò qui a rifare la cronaca degli interventi (non sono un cronista, anche se en philosophe non posso nemmeno ignorare quello che si muove intorno a me): il brillante discorso di Alfonso Leto (che poneva giustamente l’accento su come i vecchi studi del bacino continuano a valere fino a prova contraria e su come la questione-Nestlè sia sempre meno avvertita come allarmante dai suoi concittadini), quello di Salvatore Petrotto (che insisteva sulle insidie in proporzione molto più ampie rappresentate dalla Girgenti Acque), e degli altri ancora (il mio è stato, diciamo così, incalzato dal tempo tiranno). Dirò solo che sono tornato a casa con una frase di Sciascia che mi rimbombava, in modo sconfortante, nella testa: “la Sicilia è irredimibile!”. E che dire se poi la Sicilia è diventata ormai per davvero una metafora planetaria? Ma allora ripeto: vogliamo almeno provare a svegliarci un po’, e a risvegliare le nuove generazioni?

 

 


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