Dal presidente della Regione Nello Musumeci a don Palmiro Prisutto, l’agenda del ministro dell’Ambiente Sergio Costa sarà ricca di appuntamenti nell’ambito della visita in Sicilia. L’esponente del governo Conte, riconfermato anche nel nuovo esecutivo, arriverà nell’Isola per visitare il sito di interesse nazionale di Priolo. Per l’occasione è prevista anche la sottoscrizione di un accordo di programma con la Regione Siciliana per il miglioramento della qualità dell’aria, specialmente nei principali capoluoghi. In questa intervista a MeridioNews, Costa affronta alcuni dei principali nodi in materia ambientale che riguardano l’isola.
Ministro, oggi arriva a Priolo, un territorio dove – così come ad Augusta, Gela, Milazzo – le bonifiche previste non sono state realizzate. Ai cittadini porterà delle buone notizie?
«Il Sin di Priolo è uno dei più complessi e grandi di Italia: l’area perimetrata a terra è pari a circa 5.815 ettari, mentre l’area a mare è di circa 10.185 ettari (compresa tutta la Rada di Augusta). All’interno del perimetro del Sin sono presenti soggetti pubblici (72 aree) e privati (248 aree). È un’area di grande sofferenza ambientale e sanitaria: i cittadini da troppi, troppi anni stanno aspettando bonifiche sempre promesse e mai neanche avviate. Fin dal mio insediamento ho voluto accendere un faro sulla disastrosa situazione dei Sin in Italia, dedicandovi particolare attenzione seguendo due direttrici, una generale e una specifica. Per quella generale, ho lavorato a un disegno di legge che ho chiamato RisanAmbiente, già presentato al Consiglio dei ministri, che rende più semplici le procedure di bonifica: ho scoperto ad esempio, che negli ultimi anni sono state effettuate 1600 conferenze dei servizi interlocutorie. E neanche una ha portato un risultato concreto per il benessere dei cittadini e la tutela ambientale. Questo deve cambiare radicalmente. Sarò a Priolo per affrontare l’annosa questione di questo “buco nero” d’Italia, ho costituito un tavolo con Ispra, le direzioni generali del ministero dell’Ambiente e una delle principali società industriali presente nel Sin, cioè Eni Review, ex Syndial, per concentrare l’attenzione e gli sforzi. E per chiedere a tutti un’attenzione in più. Ho trovato una grande disponibilità da parte di tutti i soggetti ad accelerare le procedure e sono sicuro che anche la Regione Siciliana, a cui competono numerosi adempimenti, vorrà cambiare passo. Dovrà farlo. Da gennaio presso il ministero ci sarà una direzione generale che si occuperà solo di bonifiche, con una struttura dedicata. È ora di cambiare totalmente la storia dei Sin in Italia. Da siti abbandonati e dimenticati, da buchi neri dell’inquinamento del nostro Paese, a riscatto e poli innovativi delle più moderne e avanzate tecnologie di bonifica. Il ministero c’è, i fondi pure, adesso ognuno dovrà fare la sua parte. Non ci sono alternative».
Sul tavolo della Regione c’è un progetto di termovalorizzatore presentato dalla Sicula Trasporti, proprietaria di una delle più grandi discariche dell’isola. Il ministero dell’Ambiente, nella risposta alla Regione sul piano rifiuti, ribadiva la necessità di realizzarne due (già previsti dallo Sblocca Italia). Proprio su questo lei aveva annunciato un’indagine interna. Com’è stato possibile? Intende fare qualcosa per bloccarne la realizzazione?
«Il documento a cui lei fa riferimento era una relazione tecnica scritta a più mani da Ispra e uffici del ministero dell’Ambiente che, analizzando il piano rifiuti della Regione Siciliana, elencava lo stato attuale delle previsioni di legge che, come ha lei stesso precisato, ha come riferimento lo Sblocca Italia approvato nel 2014. Io resto convinto che gli inceneritori non siano la soluzione. Per un ragionamento molto semplice: per costruire un inceneritore occorrono almeno 5-7 anni, al netto delle lungaggini burocratiche. L’Europa ci impone standard di differenziata e riciclo a partire dal 2025 fino al 70 per cento, a seconda dei materiali. Mi chiedo: dato che nell’inceneritore va la parte residuale del ciclo dei rifiuti, che valenza economica ha costruirne di nuovi? La Sicilia ha bisogno di impianti, è vero, ma soprattutto quelli di compostaggio, di aumentare la raccolta differenziata, di qualità, quindi impianti di separazione e di riciclo. È questa la via maestra».
Il caso Arata dimostra che la criminalità continua a guardare con grande attenzione alle rinnovabili. Fino a provare a condizionare le scelte di un governo nazionale. Come si fa a garantire trasparenza e pulizia in questo settore e allo stesso tempo a non impantanare tutto in una burocrazia asfissiante? Proprio su questo di recente il presidente dell’Ars Micciché ha dato la sua soluzione: “Se fossi governatore sbloccherei in un giorno tutte le autorizzazioni in attesa di firma degli uffici”. Condivide lo spirito?
«Posto che “sbloccare in un giorno”, come se si avesse la bacchetta magica, è un’ipotesi irrealizzabile, pur volendolo, non credo che la soluzione sia lo sblocco indiscriminato di qualsiasi richiesta autorizzativa. Io ho formato presso il ministero una commissione composta sia dalla pubblica amministrazione che da imprenditori privati con il compito di individuare i nodi della burocrazia inutile, quella ottusa che blocca il Paese. È lì che bisogna agire, perché sono quei lacci che legano il sistema Italia. Nello stesso tempo però il caso Arata ci conferma che il controllo e la vigilanza non sono mai troppi. E dietro certe richieste di autorizzazione ci sono fini privati e non la ricerca del bene pubblico».
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