La masculina da magghia è un presidio slow food Ma a Ognina pescano acciughe solo due barche

Un mestiere antico almeno quanto I Malavoglia di Giovanni Verga i cui prodotti sono riconosciuti in tutto il mondo come presidio slow food. Si tratta della pesca della masculina da magghia, una specie presente nell’angolo di mare Ionio compreso tra Capo Mulini e Capo Santa Croce che ha il suo fulcro a Ognina. «Per i catanesi è una varietà molto comune, all’estero è un’eccellenza ricercatissima, dai Paesi europei a quelli extracomunitari», precisa Gaetano Urzì, uno dei pochi pescatori di acciughe – è questo il nome più comune – sopravvissuti alla crisi del porto di Ognina. 

Nel Mediterraneo i cosiddetti anciuvazzi o anciuvurineddi oltre che nella riserva naturale marittima Isole ciclopi si trovano anche nel Cilento campano e nella zona di Pisciotta. Complessivamente tre aree che danno da mangiare a una trentina di famiglie. A Ognina «la praticano solo due barche e una è la mia», commenta orgoglioso Urzì. Che racconta a MeridioNews storia, declino e ripresa dell’attività. Fiorente soprattutto per merito dei mercati esteri

Secondo padron ‘Ntoni – personaggio del romanzo ambientato da Verga ad Acitrezza – la masculina ha più giudizio del tonno. Una citazione che tra i pescatori è pure un detto noto poiché «dà lavoro tutto l’anno: nei mesi di abbondanza si pesca, in quelli di magra la si vende nei cugnetti (recipienti in terracotta) dove è stata messa sotto sale», spiega Urzì. E anche la pratica di salare la acciughe è testimoniata dalla letteratura verghiana, così come affonda le radici nei poemi epici di Omero la tecnica sfruttata per pescare gli anciuvazzi. 


«Di notte si lanciano in mare specifiche reti che vanno dai 300 ai 500 metri di ampiezza e tra quelle maglie i pesci si incagliano», dice l’esperto. Precisando che in questo periodo i professionisti del settore si occupano della conservazione perché «tra aprile e luglio abbiamo fatto scorta di acciughe e adesso aspettiamo che il mare si ripopoli di pesce». Un obbligo di legge, quest’ultimo, oltre che un «dovere morale che purtroppo negli anni passati non è stato rispettato», dice Urzì. Che attribuisce anche a questo comportamento la crisi del settore. 

«Non assecondare i tempi del mare ha causato problemi ai lavoratori. Una batosta – continua Urzì – simile a quella dovuta all’avvento del motore nelle barche e alla pesca a strascico». Un’attività, quest’ultima, che determina «la scomparsa di molte specie nel golfo di Catania, dalle triglie alla vegetazione che favorisce il ripopolamento del pesce da fondale, cioè la posidonia». Tecnica responsabile di contribuire a compromettere l’ecosistema marittimo, nonostante l’espresso divieto prescritto da una legge del 1991 della Regione Siciliana

Ed è stato proprio Palazzo d’Orleans a portare avanti il vessillo dell’eccellenza della masculina da magghia attraverso la volontà di farne un presidio slow food riconosciuto in tutto il mondo. Sfida raccolta da Urzì e dagli altri specialisti della pesca dell’acciuga che nel 2003 portano per la prima volta al Salone del gusto di Torino i loro prodotti. Quattro anni dopo i pescatori della masculina da magghia ritirano la certificazione slow food a Genova. Un riconoscimento che ha permesso a Urzì e ai pochi colleghi rimasti di «continuare un mestiere antico ereditato da padri e nonni». 

Cassandra Di Giacomo

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