La quinta Sezione del Tribunale di Palermo ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna inflitta a Franco Mineo, già consigliere comunale a Palermo, già deputato regionale. I giudici ci vanno pesante, sottolineando il ruolo dell’ex parlamentare, dipinto come prestanome del clan Galatolo, una delle famiglie mafiose più note del capoluogo siciliano. Il condizionale è d’obbligo, perché si tratta di una sentenza di primo grado e non di una sentenza passata in giudicato.
Insomma, Mineo è un altro politico siciliano finito nei guai per questioni di mafia. Nella sua agenzia di assicurazione è stato intercettato il trafficante di droga Pietro Scotto, che era appena uscito dal carcere. Nella segreteria politica di Mineo gli uomini delle forze dell’ordine hanno visto Pietro Macrì, oggi arrestato perché considerato uno dei boss più influenti della borgata dell’Arenella.
Secondo i giudici che l’anno condannato, Franco Mineo «rappresentava, per certi versi, il paradigma ideale di insospettabile prestanome funzionale agli interessi della consorteria mafiosa». Un giudizio pesante come un macigno, che è costato all’ex parlamentare una condanna di 8 anni e due mesi per intestazione fittizia di beni. Con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. In più ci sarebbe anche il peculato.
Mineo è un personaggio molto conosciuto all’Arenella e all’Acquasanta, due borgate della vecchia Palermo. In genere, quando si parla di queste zone della città si fa riferimento alla mafia. E sicuramente l’influenza delle «famiglie» in queste due borgate c’è e si avverte. Ma non sono aree cittadine diverse da altri quartieri di Palermo, che magari si presentano meglio, ma dove la mafia esercita la stessa pressione, se non maggiore.
Mineo, come già ricordato, è stato consigliere comunale a Palermo. E anche su questo punto gli contestano un’utilizzazione impropria delle auto blu.
Esponente di centrodestra, Mineo, all’Assemblea regionale siciliana ha fatto parte del gruppo parlamentare di Grande Sud, il movimento di Gianfranco Miccichè.
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