La Cina in presa diretta

Studiare il cinema cinese per scoprire gli aspetti storici, politici e sociologici di questo Paese: «Perché la Cina non è così vicina come si pensa», dice Marco Dalla Gassa – docente di Storia e critica del cinema nelle università di Venezia e Trieste – durante la lezione conclusiva di Cinascopio, rassegna organizzata dalla facoltà di Lettere e filosofia sulla cosiddetta “sesta generazione”.
«Il cinema cinese è suddiviso in generazioni – spiega Dalla Gassa – che sono state determinate dalle situazioni politiche che il Paese ha attraversato. Dal cinema privato e filo-occidentale dei primi anni del Novecento, a quello statalizzato delle generazioni successive. Dalla rivoluzione culturale che ha bloccato la produzione di film della quarta generazione fino ai giorni nostri. I governi hanno utilizzato il cinema come strumento di propaganda». Anche se, secondo Dalla Gassa, questa non è una peculiarità cinese: «Il cinema americano degli anni Quaranta era propagandistico. Perfino la Disney ha creato un cartone animato in favore dell’intervento degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale».

Una lezione, quella del professore Dalla Gassa, per cambiare il nostro sguardo: «Dobbiamo evitare le etichette sbagliate, perché danno una visione centrata di un mondo che è invece molto complesso. Si dice che il cinema della sesta generazione – il cinema contemporaneo – sia underground, indipendente, urbano e alternativo. È vero solo in parte. È un cinema che ha problemi con la censura, ma che oltre ai finanziamenti esteri a volte utilizza anche quelli statali. Si realizzano film d’autore solo perché i finanziatori stranieri lo richiedono. In tutto questo, di underground e di alternativo c’è veramente poco». Necessario, quindi, è smettere di guardare all’Oriente con la nostra logica occidentale. «Un esempio è la questione dei diritti umani e della centralità dell’individuo – continua Dalla Gassa – concetti sconosciuti in Asia. Basti pensare che la parità uomo-donna è uno dei principi fondanti del comunismo, tanto che uno dei primi film propagandistici narrava di alcune donne soldato, considerate allo stesso livello degli uomini. La Cina non ha costruito il proprio popolo secondo l’individualità ma secondo le categorie». Caratteristica che ha permesso solo negli ultimi anni l’avvento dell’Io narrante e di una nuova soggettività. Il cinema cinese di oggi racconta il proprio mondo. Dalla Gassa continua: «Non a caso molti film parlano di artisti, i registi raccontano un po’ la loro storia. Questo, unito all’esplosione delle produzioni grazie al digitale, ha creato un nuovo dialogo tra la macchina da presa e la rappresentazione».

Ma la vera nascita del cinema indipendente si ha nel 1994, quando al festival di Rotterdam vengono proiettati alcuni film cinesi arrivati in Olanda clandestinamente. Film mai presentati all’Ufficio del Cinema del ministero della Cultura cinese. L’Ufficio censura questi film e vieta ai loro registi di lavorare o di lasciare il Paese. Da questo episodio nasce la sesta generazione, un gruppo di autori che tende a rompere gli schemi tradizionali, tanto che Dalla Gassa paragona il cinema contemporaneo cinese alla Nouvelle Vague: «Entrambi hanno avuto esponenti molto giovani ed entrambi hanno adottato uno stile documentaristico, caratterizzato dalla presa diretta. E, come per la Nouvelle Vague, anche la sesta generazione ha avuto spesso una forma dilettantistica e autoreferenziale».

Valeria Giuffrida

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