«Ma tu cu’ spacchiu sì?». È una delle frasi che la mamma di un bambino di otto anni avrebbe rivolto al preside dell’istituto comprensivo Livio Tempesta di via Gramignani a San Cristoforo, prima di prenderlo a schiaffi e di graffiarlo in viso. Il dirigente scolastico, Tarcisio Maugeri, se l’è cavata con tre giorni di prognosi assegnati dal pronto soccorso dell’ospedale Vittorio Emanuele. «E poi c’è lo stress – dichiara a MeridioNews – e quello, anche se è difficile quantificarlo, pesa. Perché è complicato lavorare in una scuola in cui non si riesce a fare passare il messaggio del rispetto delle istituzioni». Il fatto è avvenuto lo scorso 29 novembre. Maugeri si trovava nella sua stanza quando la signora, dopo avere parlato con un vicepreside, ha chiesto direttamente del dirigente.
«La questione era molto semplice – spiega il preside – La signora finisce di lavorare alle 15, ma l’uscita dei ragazzi da scuola è prevista per le 14». Così la donna – «di età compresa tra i 30 e i 40 anni» – ha spiegato di non riuscire a passare a prendere il figlio di otto anni dopo le lezioni. La soluzione individuata dalla mamma era di permettere a un’altra figlia, di 17 anni, di andare a prendere il bambino più piccolo. «Ovviamente una cosa simile non si può fare – racconta Tarcisio Maugeri – Se non sono i genitori, dev’essere un’altra persona con una delega firmata. Ma comunque deve essere maggiorenne. Non si può lasciare a una ragazza di 17 anni una responsabilità simile, anche perché noi commetteremmo un reato». A spiegare alla genitrice la questione era stato prima il personale scolastico e, poco dopo, il preside in persona.
La discussione si anima in fretta. Nella stanza, assieme alla donna e al preside, ci sono anche il bambino di otto anni e sua sorella più grande. «Quando ho chiarito che non ci saremmo spostati dalla nostra posizione – continua il racconto – lei si è innervosita e ha cominciato a urlare in modo molto vivace». Una serie di insulti, il successivo «Fatti i cazzi to’» e l’affermazione: «Io da qua non me ne vado se non mi fate tornare il bambino con sua sorella». «A queste frasi io ho risposto invitandola a uscire dalla stanza, perché dovevo lavorare e non potevo perdere altro tempo dietro a richieste che non si possono accogliere», prosegue la vittima. Per tutta risposta, lei si sarebbe alzata in piedi e avrebbe schiaffeggiato il dirigente. «Quando il personale scolastico ha provato a bloccarla, lei mi si è lanciata addosso e mi ha graffiato la faccia con le unghie».
Una volta portata fuori, non è bastato neanche l’arrivo delle forze dell’ordine per convincere la donna che il permesso di fare uscire da solo un bambino di otto anni da scuola non poteva essere accordato. «Quello che dovrebbe fare riflettere non è tanto il fatto in sé – prosegue Maugeri – è piuttosto il modo di pensare. I ragazzini in classe riusciamo a tenerli, con grandi difficoltà ma ci riusciamo. Alla Livio Tempesta non ci sono né santi né eroi, ci sono però tanti insegnanti che vogliono fare il loro lavoro. Il problema sono spesso le famiglie fuori da queste mura». A loro è complicato spiegare che «non si possono fare eccezioni alle regole. Ed è con quella mentalità che educano i loro figli: gli schiaffi dati a me non sono gli stessi che probabilmente vengono dati ai figli per punizione?».
«Il problema è ovviamente di carattere culturale. L’aggressione è la prima che mi capita, ma io e il personale docente veniamo continuamente insultati e presi a parolacce da genitori irritati. Perché in certi contesti è quella la normalità». Un concetto che si combatte «con processi di sviluppo sociale e con il rafforzamento delle istituzioni. Come possiamo pensare di farcela senza adeguati programmi di supporto alla scuola? Insegnanti e presidi sono completamente soli». E spesso sono necessari avvenimenti eclatanti perché si parli delle scuole di frontiera. La scuola Livio Tempesta, per esempio, era salita agli onori delle cronache dopo essere stata gravemente vandalizzata lo scorso agosto. «È giusto che si parli di quello che non va, ma senza aiuto come facciamo a fare sì che, invece, siano sempre di più le cose che funzionano bene?».
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