Involtini, cocaina e hashish. La macelleria centrale della droga «Se me la fai prendere a 39 euro a grammo ho i piccioli pronti»

L’esercito dello spaccio e una montagna di soldi. Palermo si riscopre ancora una volta sommersa dalla droga. Lo dicono i numeri: quattro operazioni in un mese e 112 misure cautelari eseguite. Si smercia ovunque, all’interno del complesso ex Onpi a Partanna Mondello, nelle vie di Borgo Nuovo e in via Pitrè, ma anche dentro una macelleria nei pressi del cimitero dei Cappuccini alla Zisa. L’ultimo blitz, ribattezzato Pandora, è partito dal monitoraggio dello spaccio a piazzetta della Serenità, all’interno del complesso ex Onpi. Un tempo casa di riposo comunale per anziani e poi, dal 2011, occupata da decine di famiglie di senzatetto per un totale di oltre 300 persone. 

Le telecamere dei carabinieri hanno monitorato tutta la zona e in breve tempo l’inchiesta si è allargata ai quartieri Borgo Nuovo, C.E.P., Altarello, via Pitrè e Falsomiele. Tra i luoghi monitorati anche una rivendita di carni in via Demetrio Camarda nella disponibilità di Maurizio Randazzo. L’uomo è accusato di avere «acquistato, detenuto e ceduto droga». Gli episodi sotto la lente d’ingrandimento vanno dalla fine del 2018 e coprono tutto il 2019. C’è la presunta vendita di cinque chili di hashish a un prezzo di tremila euro ma anche l’acquisto di otto chilogrammi della stessa sostanza a 2500 euro

Il macellaio si sarebbe occupato anche dello smercio di cocaina. Il 12 dicembre 2019 viene intercettato in modalità ambientale un dialogo tra Randazzo e un cliente non interessato all’acquisto di carne o involtini ma di alcuni grammi di polvere bianca. «Te ne ho preparata 30», diceva al suo interlocutore. «Ti basta? La vuoi vedere?», continuava. A questo punto i due, secondo i carabinieri, si recano nel retrobottega. L’affare sembra andare a buon fine grazie a un accordo sul pagamento con consegne periodiche di soldi per coprire la fornitura. «Tu raccogli 500 euro e me li dai – spiegava Randazzo all’uomo – pure per trecento euro devi venire. Vai tranquillo, così mi agevoli». Successivamente la discussione continuava sui prezzi d’acquisto al grammo. «Io l’ho presa a 38, 39. Ora si discute a 42. Se me la fai prendere a 39 io ho un pacco pronto con i piccioli», diceva il macellaio al suo interlocutore, a quanto pare facendo riferimento alla possibilità di investire per comprare della cocaina. «Io ti sto dicendo questo prezzo – concludeva – perché ho visto la persona che sei». 

Nell’elenco degli indagati c’è anche il cognato del macellaio, Gioacchino Di Maggio. Per gli inquirenti l’uomo avrebbe «partecipato all’associazione con il ruolo di fornitore di hashish», distinguendo con precisione le varie tipologie. C’è il «giallino» che ha la caratteristica di «non attaccarsi» e i panetti marchiati con il il simbolo della casa automobilistica tedesca Porsche. Natura e qualità della sostanza finiscono in un dialogo particolarmente acceso che si svolge all’interno della macelleria. L’indagato Mariano Runfolo discute con Randazzo dopo avere intavolato, secondo la ricostruzione degli inquirenti, una trattativa da oltre tremila euro con il cognato del commerciante. «Questo è giallino», diceva il macellaio dopo avere osservato un pezzo di hashish preso come campione. Runfolo però replicava indicando come si trattasse di un panetto di qualità più elevata marchiato Porsche. «Io l’ho visto. Ma quale giallino. È come c’è scritto: Porsche». 

Nella grande giostra della droga capita pure di dovere saldare qualche debito. Per questo motivo, secondo gli inquirenti, l’11 dicembre 2019 fanno visita alla macelleria di Randazzo due uomini. Sono Andrea ed Emanuele Tomaselli, padre e figlio, entrambi indagati. Il primo entra nell’attività commerciale mentre il secondo lo attende in auto. All’interno, come messo nero su bianco nell’ordinanza, il macellaio consegna quattromila euro a «saldo di un pregresso debito per l’acquisto di stupefacente». Nei confronti di Randazzo la procura aveva anche chiesto di mettere sotto sequestro la macelleria ma il giudice per le indagini preliminari ha rigettato. «Gli elementi indiziari acquisiti al fascicolo – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – non consentono di affermare la illecita provenienza dei beni nella disponibilità degli indagati». 


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