Allo sbarco di questa mattina Catania ha risposto ancora una volta impreparata. «Eppure i fenomeni migratori non sono più un'emergenza», spiega Riccardo Campochiaro, avvocato del Centro Astalli etneo che si occupa di assistenza ai migranti. Tra convinzioni difficili da sradicare ma che si scontrano con i numeri: «In Italia gli stranieri regolari sono cinque milioni, gli irregolari 600-700mila e solo il dieci per cento viene dal mare»
Immigrazione, tutti i falsi miti da sfatare «Italia quinta in Europa per richieste di asilo»
«Sappiamo che i migranti arriveranno perché sappiamo che ci sono diversi Paesi in guerra. Ma l’Italia sceglie di essere in emergenza perché non prevedere i giusti numeri per l’accoglienza». Così Riccardo Campochiaro, avvocato del Centro Astalli etneo che si occupa di assistenza agli immigrati, commenta la percezione locale del fenomeno migratorio durante un corso di formazione rivolto ai giornalisti catanesi. Proprio nelle stesse ore in cui in 163 tra egiziani, eritrei, sudanesi e siriani sono sbarcati al porto di Catania. In una città che si trova ancora una volta impreparata, con tutte le strutture di accoglienza piene.
Eppure, specifica l’avvocato, è sbagliato parlare di un’invasione. «In Italia i migranti regolari sono cinque milioni, mentre gli irregolari sono 600-700mila». Di questi solo il 10 per cento arriva via mare. «Mi rendo conto che desti più attenzione ma non dovrebbe destare più preoccupazione», commenta il legale. Anche perché alcuni sono costretti, nei fatti, dall’assenza di norme specifiche: «Non esiste il visto per asilo politico – spiega Campochiaro – L’unica maniera per entrare è irregolare, al netto di escamotage. Come una famiglia di egiziani coopti, miei clienti, che prese un visto turistico per la Russia, fece scalo a Roma con l’aereo e lì chiese asilo». Sono i cosiddetti migranti forzati dalle condizioni del proprio Paese, diversi dai migranti economici alla ricerca di lavoro, «non aiutati dalla legge perché serve un visto apposito che si può richiedere solo in un certo periodo dell’anno», in una specie di legge-bando di lavoro per nazionalità.
E l’Italia, almeno secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur), non sembra essere il Paese europeo a dover fronteggiare il maggior numero di richieste di asilo politico. «Nonostante pensiamo di essere al centro dei flussi migratori, secondo i dati dal 2008 al 2013, in Italia arrivano in media 27mila richieste all’anno, mentre in Germania 109mila – continua l’avvocato – Siamo il settimo Paese al mondo, dopo Usa, Francia, Germania, Svezia, Turchia, Regno Unito. Per questo sorrido quando sento che l’Italia chiede aiuto all’Europa, perché è un problema condiviso». I milioni di potenziali richiedenti asilo nel mondo infatti, spiega il legale, rimangono per lo più sfollati interni o cercano protezione non ufficiale in Paesi che non hanno firmato la convenzione di Ginevra.
«Chi arriva in Italia via mare non è mai clandestino. Semmai irregolare – chiarisce Campochiaro – Da ottobre, con l’operazione Mare nostrum, i migranti vengono presi al largo, prima di aver violato qualunque legge, dalle navi che battono bandiera italiana, dove vengono autorizzati a salire a bordo dal capitano e quindi regolarmente». In ogni caso, la maggior parte di loro non sceglie l’Italia come meta né, in tanti casi, la accetta. «L’esempio catanese recente sono i siriani arrivati l’estate scorsa e che, per qualità della vita, per la presenza di parenti e per i lunghi tempi di attesa della nostra burocrazia preferiscono fare richiesta di asilo nei Paesi scandinavi». Ma per il regolamento di Dublino i migranti sono costretti a farsi identificare e quindi avviare la pratica di asilo nel primo Paese in cui arrivano. «Un problema risolto all’italiana: loro non vogliono farsi identificare, per noi è un costo farlo, quindi ci giriamo dall’altra parte e li facciamo andare via». Come nel caso dei siriani fuggiti dal Palaspedini nell’ottobre scorso.
Per chi resta, l’attesa media è di dieci mesi – nonostante la legge ne prescriva sei, in cui i migranti non possono lavorare – per sapere se riceveranno qualche forma di tutela. «Protezione internazionale per chi viene perseguitato perché fa parte di un certo gruppo sociale o ha un certo orientamento sessuale, politico o religioso- spiega Campochiaro – Protezione sussidiaria, per chi rischia la pena di morte in caso di rientro, ad esempio, e che dà diritto una sorta di permesso di soggiorno da rinnovare ogni ciqnque anni. Oppure protezione umanitaria, la più ampia perché si applica in casi di particolare vulnerabilità, come per chi è arrivato dalla Libia durante la cosiddetta emergenza Nordafrica». Nell’attesa, i centri di accoglienza si trasformano in un business, specie i più grandi, come il Cara di Mineo. «Lì un migrante costa circa 70 euro al giorno, per stare in un posteggio dove non impara nemmeno l’italiano – conclude il legale – Negli Sprar (piccole comunità inserite nel contesto locale, ndr) invece costa 40-45 euro e riesce a essere non solo un numero ma a costruirsi una vita».