Da Gianluca, infermiere di 28 anni che da tempo ormai organizza la sua vita in base ai turni all’ospedale di Cesate, al 27enne Alessandro, che si divide tra Roma e Milano per lavoro. E Linh, che dopo l’anno scorso, quest’anno è finalmente riuscita a essere qui
Il Natale di chi non è potuto tornare a Palermo «Prometto che l’anno prossimo sarò più terrone»
I parenti, le lasagne, quelle giornate che non finiscono mai e si replicano fino a che non si smette di cucinare, i regali, i mille giochi con le carte, il rumore delle monetine nelle ciotole di vetro riadattate per l’occasione, l’amaro per digerire e le tombole fantasiose dove tutto può diventare adatto per segnare il numero sulla cartellina. Tutto questo e molto di più significa Natale a Palermo, a casa. Ma sono in tanti che, per un motivo o per un altro, quest’anno hanno dovuto rinunciarvi. Qualcuno per cui questi giorni da noi segnati dallo stare insieme sono stati invece solo qualche videochiamata al cellulare con i genitori e i nonni. Come per Gianluca, infermiere palermitano di 28 anni che quest’anno aggiunge un Natale in più ai tanti passati lontano da casa, e trascorsi invece nella fredda Cesate, la città in cui vive e lavora da quattro anni. «Ho staccato dal mio turno la sera del 25 e la mattina del 26 già dovevo ricominciare, di questo Natale praticamente non ne capirò niente e lo passerò totalmente solo. Ma ormai sono praticamente abituato a passare le feste così, lavorando, lontano da casa…».
Ma non vuole rimuginarci sopra più del necessario. Lui, come molti altri, vorrebbero la possibilità di poter trascorrere queste giornate in famiglia, ma pensare e ripensare a «quanto vorresti stare a casa tua fa solo male e non ti permetterebbe di vivere serenamente nel posto dove ti sei trasferito proprio per crearti una vita». Cerca, insomma, di farsene una ragione, questo 28enne che sperimenta la vita da emigrato già da un po’. E i suoi conti sembra averli fatti bene. Anche perché a sentire ciò che prova, più che la città in sé, «che comunque manca», a intristirlo di più è il non poter avere, lì a Cesate, proprio «quell’atmosfera del Natale che si sente stando in famiglia e con gli amici». Quella che molti palermitani che dalla città e dalle sicurezze della propria casa non si sono mai dovuti (o voluti) allontanare danno forse per scontata. «Siamo stati abituati alle giocate natalizie da inizio dicembre, ai cenoni in famiglia, ad andare in chiesa tutti insieme e le visite infinite dai parenti che si vedono raramente – racconta Gianluca -. Poi sai quanto mi dispiace perdere il primo Natale di Giorgina? Anche se so che non ne capirà niente», e ride, ripensando a quella prima nipotina che oggi più che mai, che trascorre il suo primo Natale senza lo zio, lo fa sentire un po’ più lontano da casa.
«L’unica cosa tipicamente natalizia qua è il freddo da morire» dice, provando a scherzarci un po’ su. Cesate infatti è a 18 chilometri a nord dall’altrettanto gelida Milano, e non ha risparmiato al 28enne palermitano, in questi primi anni trascorsi lì, giornate all’insegna di vestiti e accessori così pesanti che a Palermo in genere non serve usare, a meno di non fare qualche gita fuori porta in montagna. «Però quando ti arriva un pacco inaspettato da casa, già durante l’anno, ma specialmente a Natale, be…questa è una cosa bellissima». Qualcosa che nessun lavoro o vita fuori potrà portargli via. Ma c’è chi dalla nostalgia non riesce a prendere le distanze con facilità, né a consolarsi con un dono giunto dritto dritto da Palermo, per quanto speciale. «A me manca tutto di questa città, Palermo è casa – dice subito Alessandro -. Vivendo fuori hai l’impressione che, quando riesci a tornare, sia rimasto tutto congelato, fermo a come lo avevi lasciato tu. Ma ti scontri con la realtà e ti rendi conto che non è esattamente così. È una brutta sensazione, perché si dà come per scontato che Palermo e le persone, compresa la famiglia, siano sempre uguali ma invece ci sono dei cambiamenti di cui tu purtroppo non fai parte e ogni volta subisci una sorta di piccolo shock».
Tante, insomma, le cose con cui fare i conti. Anche per questo 27enne che dopo una lunga esperienza lavorativa in Francia, avventura in cui si è buttato a capofitto animato dalla voglia di darsi da fare, divide adesso la sua vita tra Roma e Milano. Ma c’è sempre anche Palermo, ovviamente. «È il quarto Natale che non trascorro a casa, da quando ho la mia residenza nella Capitale – racconta -. È qui che ho trovato un lavoro stabile, dopo tanti precedenti segnati da chili e ore di sonno persi e parecchio sfruttamento. Ho una casa, un compagno, una nuova famiglia. E da sette mesi sono riuscito ad avere un contratto a tempo indeterminato, ma a Milano». Piccolo astro nascente della banca in cui adesso lavora, Alessandro si è fatto subito apprezzare per il suo saperci fare e il suo non risparmiarsi mai. Qualità, però, che se da un lato regalano meritate soddisfazioni professionali, dall’altro complicano enormemente le decisioni del cuore. «Tre città in cui dividermi, è difficile organizzare tutto, decidere ogni volta dove stare e soprattutto con chi. Col mio compagno? Con la mia famiglia e i miei parenti?». Per non parlare dei due affitti che deve gestire, tra la casa di Roma e il monolocale di Milano.
«Mi ritrovo a dover scegliere ogni volta – dice con rammarico -. Quando si parte da Palermo si ha sempre l’impressione che sia tutto facile e che si possa tornare quando si vuole, perché tanto lì casa c’è. Il problema è che più si diventa grandi e si stabilizza la propria vita fuori, più è difficile. Sono fortunato già se riesco a scendere a Roma una volta al mese, e anche avendo alcuni giorni liberi, seppur pochi, quando sono sceso dalla mia famiglia mi sono sentito comunque un po’ in colpa verso il mio compagno. Insomma, è complicato. Per quest’anno, ancora una volta, è andata così. Ma dall’anno prossimo mi riprometto di essere un po’ più terrone e di tornare più spesso a casa». Prezzi permettendo. Perché che sia da Milano o da Roma, riuscire a prenotare un volo per tornare a Palermo, specie in un periodo come questo, è un pensiero che occorre fare mesi prima, dando per scontato di conoscere anzitempo turni di lavoro e ferie. «I prezzi sono proibitivi, indecenti anzi e questo crea non pochi problemi – spiega Alessandro -. Ci si ritrova a dover scegliere, quindi, anche facendoti letteralmente i conti in tasca, in base a quello che si può o non si può materialmente fare. Non solo il senso di colpa per essere volato via in cerca di meglio, ma anche questo. Ma pagare 300 euro solo per una tratta è davvero improponibile. Stringo i denti». Anche perché è difficile rinunciare del tutto a Palermo.
«Mi manca l’aria che si respira, le luci, il centro colorato, le passeggiate, il teatro Massimo, gli odori della mia città. Il mio bellissimo Monte Pellegrino fermo lì, che mi guarda fuori dal mio balcone. E la mia famiglia, malgrado ne abbia una mia, nuova, qui dove vivo adesso. Di base sono contento, ma c’è sempre un piccolo pezzetto di me che rimane triste perché pensa a tutti gli altri che ha lasciato giù». Ma qualcuno per quest’anno è riuscito a tornare. Come Linh, che ha fortemente voluto questo rientro a casa. Soprattutto dopo che l’anno scorso, per motivi professionali, ha dovuto rinunciare. «L’anno scorso mi hanno chiesto di lavorare il giorno della vigilia di Natale. Per me significava essere costretta a prendere il pullman del 26 per tornare da Roma dato che il giorno di Natale non ci sarebbero state corse, ma avevo un bisogno disperato di soldi, quindi, seppur malvolentieri, ho accettato – racconta -. Mi sono detta: ‘Ormai sono grande, qualche sacrificio adesso devo cominciare a farlo’». Ed eccola sola nella Capitale in uno dei giorni più attesi da un palermitano. Specie se fuori sede.
«La sensazione è stata proprio quella di essere diventata davvero grande. Niente cenone di Natale, solo una veloce sgaloppina al limone. Niente luci, colori, rumori che provengono dalla cucina per tutta la notte, niente mamma che si lamenta del fatto che non le diamo una mano, niente panettone e apertura dei regali a mezzanotte io e mia sorella vicine all’albero». Se a cena è stata un veloce fetta di carne e poi via a lavoro, il pranzo di Natale di Linh dell’anno scorso non è stata che una lasagna precotta e un bicchiere di vino sorseggiato in solitudine. E poi la telefonata con la famiglia, lo scambio di auguri, qualche commento. «Ma c’era qualcosa che mancava – torna a dire -. Viviamo in un periodo storico in cui è impossibile stare lontani dai social e ammetto che, scorrendo la mia bacheca di Facebook, nel vedere le tavolate infinite degli altri nello loro case li ho un po’ invidiati e ho sentito addosso un grande senso di solitudine. Credo di non essere mai stata così felice di prendere il pullman per tornare a Palermo come quel 26 dicembre, anche se Natale era passato».
Quest’anno il bisogno disperato di soldi è rimasto, «ma non me la sono proprio sentita di rinunciare all’unico periodo dell’anno in cui sei quasi autorizzato a tornare bambino, in cui puoi scrollarti di dosso le responsabilità almeno per un po’, per farti coccolare dalle braccia di chi ti ama». Quest’anno, quindi, Linh non poteva non rifiutare quella stessa proposta lavorativa che, puntuale, tornava a ripresentarsi per bloccarla di nuovo già dalla vigilia. «La mattina del 23 ero già qua, a casa. Sì, il lavoro è importante, ma lo è di più salvaguardare anche quelle piccole tradizioni familiari che ci fanno stare bene, quindi sono tornata di corsa a casa per mangiare il panettone a mezzanotte, scartare i regali con mia sorella… Ma quest’anno una mano a mamma per preparare il pranzo l’ho anche data!».