«Peppino è una figura trasversale che appartiene a tutti. Appartiene a tutte quelle forze politiche che amano la democrazia di questo Paese, appartiene ai cattolici, a persone che fanno parte di culture diverse. Però Peppino non può mai appartenere a quelle persone che in questo momento governano coi fascisti e i razzisti, perché lui non era né fascista né razzista. Non ci sono giustificazioni. Li considero dei farabutti». Sono passati due giorni dal 9 maggio e dal ricordo di Peppino Impastato. Ma Giovanni, il fratello del militante comunista ammazzato dalla mafia, non ha ancora sbollito la rabbia nei confronti di Mario Giarrusso, senatore per il M5s, Roberta Schillaci, deputata regionale e componente della commissione antimafia dell’Ars, e Piera Aiello, prima deputata testimone di giustizia. I tre militanti pentastellati sono stati prima sul luogo dell’omicidio, nel casolare dell’ex contrada Feudo, poi al consueto corteo partito dalla sede di Radio Aut a Terrasini fino a Casa Memoria a Cinisi. Una presenza, però, che ha sollevato una polemica che ancora a distanza di giorni sembra trascinarsi qualche strascico.
Con uno scambio di accuse reciproche tra Giovanni Impastato e Piera Aiello. A gettare un’ombra pesantissima sulla presenza degli esponenti grillini agli appuntamenti del 9 maggio in ricordo di Peppino è stata, Giovanni lo ribadisce in più occasioni, la presenza delle telecamere al loro seguito, che li ha ripresi persino durante la loro visita al cimitero alla tomba del militante, «non erano nemmeno autorizzati, tutto questo per farsi riprendere mentre mettevano dei fiori». Secondo lui dietro questa scelta ci sarebbero soprattutto delle ragioni puramente politiche. «Come non pensare che si sia trattato quindi di una strumentalizzazione volgare e indegna? – continua senza troppi giri di parole Giovanni Impastato -. Mi spiace per Piera Aiello, lei e la sua storia meritano tutto il mio rispetto, ma penso che i suoi colleghi l’abbiano strumentalizzata». La donna infatti, che conosce Impastato da tempo, avrebbe provato a chiedere spiegazioni rispetto alla decisione di allontanarli dal corteo. «Io avevo interpellato all’inizio la digos, che però non poteva fare nulla. Allora li ho buttati fuori io di peso dal corteo – dice Giovanni -. Non è vero che dovevano andare via, le telecamere erano già piazzate».
Intanto la testimone di giustizia, sull’onda del dispiacere, è tornata sulla questione con una lettera indirizzata proprio al fratello del militante. «Prima mi inviti e poi mi cacci via – scrive Piera Aiello -. “Siete al governo con i fascisti, qui non potete stare” questa l’accusa…Pochi mesi fa quando siamo stati insieme a Rosarno per il premio nazionale ‘Valarioti Impastato’, mi hai invitato a ricordare tuo fratello, così come ho sempre fatto da quel lontano giorno che mamma Felicia mi donò un garofano rosso. Chi ti ha riferito tutto quello che hai dichiarato ai giornali ti ha strumentalizzato: ti hanno raccontato che mi ero portata le telecamere per fare campagna elettorale; falso, sono giornalisti e registi che stanno facendo un docufilm sulla mia vita e volevano vedere e far toccare con mano al popolo francese che la Sicilia non è quella dei vari film come Il Padrino ma la vera Sicilia è quella che si ribella, quella di Peppino, di Rita, tua, mia e di tanti siciliani onesti; quale migliore occasione invitarli a Cinisi e a Partanna, dove tra l’altro dovevi esserci così come promesso mesi fa in Calabria?».
«Hai dato modo di gioire ai mafiosi con il tuo comportamento aggressivo – osserva dura la donna – e avallando il delirio di Umberto Santino. Vorrei ricordarti che non sono io il tuo nemico, non lo è neanche il M5s di cui mi onoro di far parte, ma apri gli occhi, non sono io a essere strumentalizzata. Peppino e Rita non sono nostri. Sono di tutti! Peppino e Rita non hanno colore politico, sono morti perché credevano nella verità e nella giustizia anche se avevano il padre mafioso! Volevo farti sapere come la pensavo, spero di non ricevere altri inviti solo per essere il capro espiatorio per partiti che predicano bene e razzolano male e non fanno contratti di governo, ma accordi sottobanco», la stoccata finale della deputata, che allude al Pd.
Un riferimento, quello al Partito Democratico, che però sembra c’entrare poco. Al corteo del 9 maggio, infatti, anche gli stessi militanti Pd sono stati contestati. «Non so come mai le forze dell’antifascismo, penso in particolare all’Anpi, non si siano ancora mossi – ribadisce intanto Giovanni Impastato, ancora infiammato dalla vicenda malgrado sia passato qualche giorno – e non abbiano capito che il pericolo sono questi farabutti del Movimento 5 Stelle che governano con fascisti e razzisti, sono deluso, bisogna contrastare le azioni di questo governo, che sta diventando pericolosissimo. La manifestazione del 9 maggio è una manifestazione contro la mafia, ma è anche antifascista e antirazzista, loro non potevano stare lì, dovevano andare via».
Sceglie invece una risposta più morbida il senatore Giarrusso, che prima proferisce un laconico «no comment» e poi spiega che vuole «evitare di fare polemica su Peppino Impastato, il messaggio è chiaro, non c’è che cosa commentare». Mentre la collega Schillaci si è finora limitata a una replica pubblica su Facebook, in risposta al commento piccato di un utente, che ne sottolineava l’allontanamento dal corteo: «La lotta alla mafia non deve avere alcun colore politico. Tra l’altro io vado da tanti anni perché il mio impegno è iniziato sin dai banchi di scuola». E in una nota anche Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato prende posizione, ribadendo che «Casa memoria è stata e sarà sempre aperta ed accogliente come i nostri cortei, caratterizzati dalla presenza di scuole, mondo cattolico, associazioni impegnate nel territorio e quanti si battono contro la mafia e per la giustizia sociale, ma noi non accettiamo strumentalizzazioni».
«Ci dispiace per Piera Aiello e per la sua storia che rispettiamo», si legge infine ancora nella nota di Casa Memoria, in riferimento alla testimone di giustizia che, all’indomani del 9 maggio, si è anche recata a Partanna per ricordare la cognata Rita Atria, anche lei giovanissima testimone di giustizia che si è uccisa a 17 anni dopo la strage di via d’Amelio. Le due donne, infatti, stavano collaborando con Paolo Borsellino e altri magistrati, avevano denunciato gli assassini del marito di Piera Aiello e fratello di Rita, Nicolò Atria. Anche in questa seconda tappa della memoria Giarrusso era al fianco della deputata partannese.
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