Il penalista Salvatore Mineo - coinvolto nell'operazione antimafia del 10 febbraio - ha lasciato il carcere di Bicocca e si trova agli arresti domiciliari. L'avvocato, ex vicesindaco di Santa Maria di Licodia, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Annullata l'ordinanza per il reato di rivelazione di segreto d'ufficio
I Vicerè, domiciliari per avvocato Mineo Riesame accoglie richiesta della difesa
Operazione I Vicerè ancora in primo piano a Paternò. Il tribunale del Riesame di Catania, presieduto da Maria Grazia Vagliasindi, per quanto riguarda la posizione dell’avvocato Salvatore Mineo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e di rivelazione di segreto d’ufficio, ha accolto la richiesta della difesa composta dai legali Salvatore Caruso e Giuseppe Gullotta. Salvatore Mineo – noto penalista del Paternese – ha quindi lasciato il carcere Bicocca e da ieri si trova agli arresti domiciliari.
L’avvocato Mineo, che è stato anche vicesindaco di Santa Maria di Licodia dal maggio 2012 al novembre 2013, rimane accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Annullata, invece, l’ordinanza per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio. Mineo, inoltre, si è autosospeso dal consiglio dell’ordine degli avvocati. L’ex amministratore licodiese, nel corso dell’interrogatorio di garanzia svoltosi 48 ore dopo l’arresto del 10 febbraio scorso, aveva risposto alle domande rivoltegli dal giudice Alessandro Ricciardolo e dai sostituti procuratori Lina Trovato e Antonella Barrera. Il penalista è accusato dal collaboratore di giustizia Giuseppe Laudani, cliente di Mineo nel 2008, di aver fatto da postino per contro del suo ex assistito. Il pentito avrebbe scritto lettere che poi l’avvocato Mineo avrebbe consegnato al boss di Paternò, Enzo Morabito.
Per Salvatore Caruso, difensore di Mineo, le accuse del collaborante a carico del suo assistito sarebbero state dettate «dal desiderio di ritorsione perché l’avvocato Mineo si era rifiutato di soddisfare certe sue richieste che erano oltre i limiti del consentito». A carico di Mineo ci sono anche i racconti della moglie di un affiliato – Claudio Magrì, anche lui arrestato nell’operazione Vicerè – che lo indica come la persona che avrebbe passato un documento riservato al marito. Documento che si trovava in una
pendrive di un maresciallo dei carabinieri, poi scomparsa dal palazzo di giustizia di Catania, e il cui contenuto è stato successivamente ritrovato nei computer di alcuni esponenti del clan come Magrì e Salvatore Rapisarda, arrestati nel dicembre del 2010 nel corso dell’operazione Baraonda eseguita dai carabinieri della compagnia di Paternò.
«Sul piano oggettivo le indagini – diceva Caruso – non hanno accertato quella che è stata la dinamica dello smarrimento della pendrive in cui erano racchiuse queste informazioni. Tutto rimane avvolto nell’oscurità e nel mistero. Collegare l’avvocato Mineo all’apprendimento di questa penna usb che fu smarrita è stato davvero un azzardo: potrebbe essere stato chiunque». Tra 45 giorni, una volta che saranno depositate le motivazioni, si potrà capire cosa ha spinto i giudici del Riesame a rivedere la posizione di Salvatore Mineo.
Carcere confermato, invece, per tre esponenti del clan Morabito-Rapsiarda: Antonino Rapisarda, Salvatore Rapisarda, e Claudio Daniele Magrì per il reato di associazione mafiosa.