I migranti seppelliti nei piccoli paesi della Sicilia Un’ultima famiglia che sceglie per loro un nome

La chiesetta del cimitero di Santo Stefano Quisquina domenica era piena. A Montevago nelle stesse ore i ragazzi delle scuole hanno letto versi di poesie davanti alle salme. Un mese fa scene simili si sono ripetute poco lontano, a Cianciana e ad Alessandria della Rocca. E ancora a Campobello di Licata, a Grotte, a Joppolo Giancaxio e a Canicattì. Le ultime comunità, quelle definitive, per i migranti morti sul fondo del Mediterraneo stanno qui, nei piccoli paesi dell’Agrigentino. Che hanno dato la loro disponibilità alla prefettura per ospitare i corpi che in queste settimane i sub della guardia costiera stanno recuperando a un miglio da Lampedusa, nel relitto affondato lo scorso 23 novembre. Al momento sono venti. 

A Santo Stefano, poco meno di cinquemila anime, sono già otto le salme non identificate che riposano nel cimitero. Stavolta però, di fronte alle ultime due donne, la comunità ha deciso di non lasciare che vengano ricordate con un numero, ma di dare loro un nome: Concetta e Maria. «La proposta è venuta dal parroco, don Giuseppe Alotto, in maniera spontanea durante la cerimonia di sepoltura ed è stata accolta da tutti con entusiasmo», spiega il sindaco Francesco Cacciatore.

Un rito semplice, una preghiera, una benedizione, non sapendo a quale fede le due donne si aggrappavano. «Credo che i migranti nel cimitero di Santo Stefano siano più di quelli vivi», sottolinea Elisa Chillura, giornalista che vive tra il suo paese e Palermo e che ha partecipato alla sepoltura. Più facile accogliere una salma piuttosto che integrare chi cerca una nuova vita? «Qui non credo – continua – Nei piccoli paesi c’è una predisposizione naturale all’integrazione. Quello che però mi ha colpito domenica è stato il fatto che nessuno si era mai posto il problema dell’identificazione, nessuno sapeva che lo Stato non ha l’obbligo di farlo. Dare un nome a queste donne ha permesso l’elaborazione di questo pensiero. È una strana sorte quella che ti vuole seppellita in un posto che non avevi nemmeno scelto per vivere – conclude Elisa – Chiamata con un nome che non è nemmeno il tuo, ma che è sempre meglio di un numero su un cartellino».

Ad Alessandria della Rocca un’area del nuovo cimitero ospita una ventina di corpi mai riconosciuti. Tranne uno, identiticato grazie a una fotografia. Una di quelle che tante volte i migranti si portano dietro, nelle tasche o cucite sotto il vestito. Uno scatto che ha permesso a suo fratello di venire dal Nord Europa a piangerlo sulla sua tomba. A Cianciana due mesi fa hanno seppellito il cadavere numero sei e il numero sette del naufragio dello scorso sei ottobre. Che si sommano agli altri 17 corpi nel piccolo cimitero del paese.

«Avevano sogni e ideali che non potranno mai più realizzare, chissà quando li hanno salutati l’ultima volta i loro genitori, chissà quanti ne partono e quanti ne arrivano». Sono le parole, i pensieri di una ragazza durante l’ultimo saluto alle due donne seppellite domenica a Montevago.

Salvo Catalano

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