Condanne per sei presunti membri dei clan dell’entroterra palermitano, indagati nell’ambito dell’operazione Grande passo 3 del 2015. Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai pm Sergio Demontis e Caterina Malagoli, sono culminate nei mesi scorsi in un ulteriore filone investigativo
Grande passo tre, 60 anni ai presunti boss «La sentenza di oggi è un riconoscimento»
Sono quasi sessanta gli anni di carcere inflitti dal gup Fabrizio La Cascia a sei presunti esponenti del clan mafioso dell’entroterra palermitano, arrestati nell’ambito dell’operazione Grande passo 3 a novembre 2015. Le pene più alte toccano ai due presunti capi: a Rosario Lo Bue, il boss della famiglia corleonese, spettano 15 anni, dieci invece per il boss che teneva le redini della famiglia di Chiusa Sclafani, Vincenzo Pellitteri. Insieme a quest’ultimo condannati anche i due Salvatore Pellitteri: otto anni e otto mesi al senior classe 1976, nove anni invece al Pellitteri junior, classe 1992. Nove gli anni di carcere anche per Roberto Pellitteri, altro braccio operativo della cosca. Sei anni e otto mesi, la pena minore, per Pietro Pollichino, sorta di sovrintendente nel territorio di Contessa Entellina. Disposti i risarcimenti anche per le parti civili: il comune di Corleone, rappresentato dall’avvocato Ettore Barcellona, il Centro Pio La Torre assistito dall’avvocato Francesco Cutraro, e il comune di Chiusa Sclafani, rappresentato invece dall’avvocato Salvino Caputo.
«Il Centro Pio La Torre si costituisce da circa 15 anni in tutti i processi di mafia ed estorsione – spiega l’avvocato Barcellona, alla guida dello studio legale del Centro – È l’unica associazione veramente antimafia a 360 gradi che c’è a Palermo, l’unica nel senso che Addiopizzo e le altre sono associazioni propriamente antiracket, mentre noi siamo un’associazione antimafia, non solo antiracket e antiusura, ci occupiamo in maniera più vasta del fenomeno». E da qualche anno, in occasione di grosse operazioni di mafia come questa, il Centro contatta tutti i Comuni dei territori interessati dalle vicende «stimolando la costituzione di parte civile dell’ente locale, perché questo rappresenta un segnale molto importante da dare alla comunità, e offrendo l’assistenza legale». In questo caso, il comune di Corleone, che è stato commissariato in seguito a queste vicende, ha aderito subito, anzi «addirittura ha già richiesto sua sponte l’assistenza per la prossima costituzione di parte civile nel processo per Grande passo 4», anticipa Barcellona.
«La sentenza di oggi – aggiunge – è sicuramente un riconoscimento: non ci sono stati assolti, le condanne sono state per tutti i capi d’imputazione, quindi c’è un pieno riconoscimento di quella che è stata l’attività investigativa. La costituzione di parte civile, sia degli enti locali che del Centro, ovviamente ha un valore simbolico, è un messaggio, nulla è fatto a scopo di lucro». Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai pm Sergio Demontis e Caterina Malagoli, partono in realtà già nel 2013 e a queste si aggiunge, appunto, un altro recente filone d’indagine, culminato con l’operazione Grande passo 4. Uno sforzo investigativo notevole che ha permesso di fotografare nel tempo l’intero assetto dell’organizzazione e di metterne in luce le crisi interne.
Forte, all’interno di queste famiglie mafiose, il legame con la mafia dei grandi boss. Due fra tutti, Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ma mediare fra l’atteggiamento dell’uno – volto alle azioni eclatanti – e dell’altro – più prudente e meno esposto – non è semplice. E così, se da un lato Lo Bue preferiva non fare troppo rumore, dall’altro i sodali di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano avrebbero invece prediletto attentati importanti. Come quello nei confronti del ministro Angelino Alfano, un’idea rimasta incompiuta che avrebbe dovuto dare uno scossone all’assetto di Cosa nostra.