«Gli autobus a Palermo mi fanno diventare pazzo» La lettera di Ashley, insegnante d’inglese da un anno in città

Ashley Hames ha 44 anni ed è nato a Londra. È uno scrittore, produttore televisivo, presentatore e autore di un blog sull’Huffingtonpost. Dallo scorso anno insegna inglese a Palermo. Abituato da sempre a muoversi con i mezzi pubblici, vive il trasporto pubblico cittadino come un incubo e in questa lettera inviata alla redazione di MeridioNews esprime dissenso e disapprovazione da “cittadino”, lanciando più di una provocazione.


IL TESTO (traduzione dall’inglese a cura di Monica Mosca)

L’attesa dell’autobus è uno degli svantaggi di essere un normale cittadino. Se davvero contassi le ore che ho trascorso aspettando alle fermate degli autobus a Palermo, nessuno mi prenderebbe sul serio.

Chi cerca di difendere l’attuale stato di cose sostiene che se i palermitani abbandonassero i loro veicoli e, invece, usufruissero del trasporto pubblico, allora le strade sarebbero più libere e – oplà – il servizio di autobus si rivelerebbe perfettamente adeguato. «Voi altri utenti della strada rovinate il trasporto pubblico intasando le nostre strade»: sembra un po’ come la questione dell’uovo e della gallina.

Quello che gli amministratori devono considerare, invece, è che quando il servizio di trasporto pubblico è così terribile, semplicemente non c’è un’alternativa possibile se non quella di usare il proprio mezzo privato e prendere la macchina o il motorino. 

Quando il servizio di trasporto pubblico è così terribile, semplicemente non c’è un’alternativa possibile se non quella di usare il proprio mezzo privato e prendere la macchina o il motorino

Sono, però, rimasto sorpreso nel vedere che gli automobilisti qui si preoccupino persino di rispettare la corsia degli autobus, dato che immagino debba essere allettante, nella torrida congestione, occupare ciò che è così spesso una striscia di terra sterile, deserta e silenziosa in modo imbarazzante in mezzo alla folle carneficina del traffico giornaliero. Priva di movimento, la corsia degli autobus serve solo come simbolo di inerzia dello Stato, un onnipresente, vuoto promemoria di quello che dovrebbe – e potrebbe – essere un tratto occupato di strada, ma punteggiato più frequentemente da ambulanze che vanno a prendere le ultime vittime di un altro disastroso incidente stradale.

Per non parlare del servizio notturno che qui è come aspettare Godot. Naturalmente, il Comune cercherà di distrarci dal problema puntando sui diversi lavori in corso, ambiziosi – un nuovo sistema di tram, una nuova metropolitana in superficie, e, santo cielo, persino sotterranea. E il pubblico palermitano – per generazioni ingannato dai poteri in carica – alza soltanto gli occhi al cielo rassegnato verso un sistema di trasporto equivalente ad un’illusoria pentola d’oro.

La maggior parte delle persone in attesa alle fermate degli autobus sono tra le più povere e vulnerabili della società – coloro che non possono permettersi una macchina o una moto -. Non investendo in un servizio che può aiutare la gente normale a vivere vite normali, lo Stato ha spiegato chiaramente come la pensa: queste sono vite che non contano.

Sarebbe ironico da parte mia pensare che, se le fermate degli autobus di Palermo fossero frequentate più abitualmente dai ricchi e influenti, piuttosto che dalle persone comuni e dai poveri, i servizi sarebbero rapidamente migliorati?

E se fossero i responsabili del nostro servizio di autobus a mostrarci la via e a darci il buon esempio? Forse potremmo iniziare obbligando tutti i dirigenti Amat a tenersi lontani dalle strade, a garantire il funzionamento degli autobus e liberare un po’ dello spazio che, ci dicono, sia parte del problema. In qualche modo, però, dubito che questo accadrà.

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Lo scrittore e produttore londinese consegna a MeridioNews una riflessione lanciando più di una provocazione. «Sarebbe ironico da parte mia pensare che, se le fermate fossero frequentate più abitualmente dai ricchi e influenti piuttosto che dalle persone comuni e dai poveri, i servizi sarebbero rapidamente migliorati?». La corsia preferenziale? «Simbolo di inerzia dello Stato»

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