Il ragioniere era uno dei pupilli dell’ex governatore Totò Cuffarò. Ma per la Dia non c’è ombra di dubbio. L'ascesa politica di Giuseppe Acanto è stata favorita sicuramente dal peso della cosca di Villabate. Anzi, gli investigatori credono che parte dei cospicui introiti regionali venivano versati alle famiglie mafiose della provincia di Palermo
Giuseppe Acanto, il ragioniere di Villabate Il pupillo dell’ex governatore Totò Cuffaro
Il commercialista Giuseppe Acanto è stato deputato del Biancofiore all’Assemblea regionale siciliana, voluto dall’allora presidente Salvatore Cuffaro. Primo dei non eletti, era entrato nel 2004 a sala d’Ercole al posto del maresciallo dei carabinieri Antonino Borzacchelli, finito in carcere. Gli investigatori del centro operativo Dia di Palermo hanno scoperto che Acanto gestiva un vero e proprio tesoro di mafia dal suo studio di commercialista: beni e società per un valore di 780 milioni di euro.
Beni che dovrebbero appartenere alla famiglia mafiosa di Villabate. Acanto era finito in diverse inchieste sin dalla vicenda di Giovanni Sucato, il cosiddetto «Mago di Villabate», coinvolto in una colossale operazione di riciclaggio che consisteva nel ricevere prestiti dietro interessi che facevano persino raddoppiare il capitale. Il pentito Francesco Campanella aveva accusato Acanto di essere stato votato dai boss ed era stato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, prima che l’inchiesta si chiudesse con un’archiviazione. Le sue aziende spaziano dalle imprese edili ai prodotti petroliferi, dall’ortofrutta all’assistenza agli anziani. «Ma i suoi beni – dice Riccardo Sciuto, capo centro Dia di Palermo – non sono compatibili con i suoi guadagni ufficiali. Siamo risaliti a Giuseppe Acanto nel corso delle indagini sul mercato ortofrutticolo di Palermo. Le scritture contabili di alcune aziende finite nell’inchiesta erano tenute dal commercialista».