«Si rende conto che per questa storia avrei potuto perdere la licenza del tabacchino che il re Vittorio Emanuele III diede alla mia bisnonna nel 1913?». Francesco Trovato, 49enne giarrese, da oltre vent’anni gestisce una rivendita di tabacchi sul lungomare di Giardini Naxos. Un’attività iniziata tre generazioni prima e portata avanti con impegno ed entusiasmo dalla sua famiglia.
Lo scorso 10 giugno, però, i carabinieri sono arrivati di buon mattino sequestrando tutti i prodotti a base di canapa – barattoli, flaconi, oli, bustine e lecca lecca – e denunciando l’uomo per vendita di sostanza stupefacente. «L’indomani ero su tutti i giornali: la prima volta in Italia di un tabaccaio spacciatore».
Poco più di un mese dopo, il 30 luglio, la Procura di Messina ha dissequestrato tutti i prodotti: «Alla luce degli accertamenti effettuati dal Ris di Messina – scrive il pubblico ministero – non è più necessario mantenere il sequestro, in quanto il principio attivo riscontrato è inferiore al quantitativo soglia stabilito dalla circolare del ministro del luglio 2018». Il contenuto di Thc, cioè, non superava lo 0,5 per cento consentito dalla legge.
«Ma io questo glielo avevo dimostrato un’ora dopo il sequestro – spiega il commerciante – ho portato in caserma le analisi e le fatture, ma non sono state considerate. Io dico: fateli i controlli, ma prima analizzate i prodotti e poi, se non rispettano i limiti consentiti, mi denunciate. Non prima. Quando mi è arrivata la notizia del dissequestro, ho chiesto invano ai carabinieri di diffonderla così come è stato fatto in occasione del sequestro».
Negli ultimi mesi, da quando il ministro Matteo Salvini ha dichiarato guerra alla cannabis light «via per via, negozio per negozio, quartiere per quartiere, città per città», i sequestri anche in Sicilia si sono moltiplicati. Ma nella maggior parte dei casi – come per un negozio di Santa Teresa di Riva e per i tre di Belpasso e Paternò – è arrivato il dissequestro, perché le analisi hanno accertato che il principio attivo rientra nella norma. È una legge del 2016 ad ammettere il commercio di prodotti a base di canapa, anche con infiorescenze, purché il loro contenuto di Thc (la sostanza che dà effetti psicotropi) sia inferiore allo 0,6 per cento.
Successivamente, però, la Cassazione ha affermato che la vendita di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione di cannabis sativa non rientra nell’ambito di applicazione della legge del 2016. In sostanza la Suprema Corte stabilisce che il problema non è individuare la percentuale di Thc, ma solo se nel singolo caso la sostanza venduta abbia o meno «efficacia drogante».
«Io non voglio rischiare più – sbotta il signor Trovato -. Anche se mi hanno restituito tutto, non li venderò, meglio mandare i prodotti al macero piuttosto che rischiare che qualcun altro una mattina si svegli e venga nuovamente a sequestrare tutto. Prima devono mettersi d’accordo, fare chiarezza, perché ci sono interpretazioni strane della legge. Io intanto non posso rischiare ancora i miei soldi, oltre al danno morale e d’immagine».
«Nella legge 242 del 2016 non è stato volutamente trattato il punto sulle infiorescenze – spiega Sanaz Alishahi, agronoma e produttrice di canapa nel Siracusano – è stato evitato perché non si sarebbe avuta la legge altrimenti, questo è a conoscenza di tutti. Noi imprenditori agricoli abbiamo creato un mercato da quello che la legge considera uno scarto, visto che non se ne fa menzione. La pianta di canapa è trattata dalla normativa europea come pianta industriale, in tutta la sua interezza, compresi i fiori. Adesso dallo scarto siamo arrivati a parlare di materia prima, che dovrebbe essere normata e valorizzata poiché capace di generare indotto economico».
Tanto, secondo i produttori, ci sarebbe ancora da fare: «Si parla moltissimo di filiera della canapa – prosegue l’agronoma – quando invece, ad esempio, non vi sono macchinari all’avanguardia che filano la fibra tessile, non vi sono macchinari che lavorino il canapulo per la bioedilizia. Gli imprenditori agricoli italiani che hanno investito nel settore della canapa da fiore sono partiti con il sostegno di una normativa che era lacunosa, ma non confusa come invece è adesso grazie alla strumentalizzazione sotto gli occhi di tutti».
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