Gela, scarti alimentari per Raffineria Green Ma Eni continua a puntare sugli idrocarburi

Il copione è sempre uguale da almeno tre anni, vale a dire dalla chiusura della Raffineria di Gela: ogni tre mesi Eni invita i giornalisti – anche a Palermo, con Rosario Crocetta (governatore ma anche ex dipendete dell’impianto) a fare da padrone di casaper mostrare lo stato dell’arte del protocollo d’intesa del 6 novembre 2014, che ha sancito la riconversione dell’ex stabilimento petrolchimico a Green Refinery. E snocciola numeri e risultati. Poche le novità rispetto ai passati incontri. Tra questi il più sostanziale è l’impegno, grazie alla messa in marcia del nuovo impianto di pretrattamento delle biomasse entro il 2019, ad avviare una raffineria che sarà in grado di utilizzare per il cento per cento della capacità di lavorazione materie prime di seconda generazione composte dagli scarti della produzione alimentare, soprattutto i cosiddetti oli esausti ma anche grassi animali e sottoprodotti della lavorazione dell’olio di palma. Insomma: viene ridimensionato, ma non abbandonato del tutto, l’utilizzo dell’olio di palma che aveva fatto storcere il naso agli ambientalisti.

Una decisione che si conforma alla recente autorizzazione VIA/AIA da parte del ministero dell’Ambiente e da quello dei Beni culturali, rilasciata lo scorso 8 agosto, che aveva chiesto di mitigare ulteriormente gli impatti ambientali stabilendo che «il progetto esecutivo sia corredato da opere di compensazione che dovranno essere concordate con la soprintendenza competente e che preferibilmente dovranno riguardare la fascia costiera compresa tra la raffineria e il mare». Inoltre viene data un’ulteriore accelerata all’impianto di produzione di idrogeno, denominato Steam Reforming e che dovrebbe permettere l’avvio della produzione entro giugno 2018.

Tra le cifre rilasciate dai vertici del cane a sei zampe sull’impegno economico attuato in tre anni, e valutato in 555 milioni di euro, degno di nota è quello relativo ai 348 milioni per le «attività upstream», vale a dire la ricerca e l’estrazione di idrocarburi. Segno che a Gela il core business rimane quello. Importanti anche i 110 milioni di euro spesi per le attività di risanamento ambientale. Anche se, come ammettono dal Palazzo di Vetro in contrada Piano del Signore, «una delle attività più rilevanti, riguardante la dismissione completa e il risanamento delle aree dell’ex impianto acido fosforico di ISAF, ha visto l’apertura del cantiere nel novembre del 2016 ma ad oggi, a causa dei ritardi nel rilascio di alcune autorizzazioni, ha dovuto posticipare nell’ultimo trimestre dell’anno l’avvio dei lavori di risanamento previsti inizialmente a partire dai primi mesi del 2017».

Ritardi anche nel campo della chimica verde, dove è ancora in corso l’attività di sperimentazione avviata a giugno 2016 con il trapianto di 100mila piantine di guayule presso due aziende agricole appartenenti all’Ente di Sviluppo Agricolo (ESA) della Regione Siciliana. Anche qui i primi risultati saranno disponibili nell’autunno di quest’anno. La buona notizia è che, col contemporaneo ritardo dell’avvio della Green Refinery, si prevede un ulteriore aumento del numero di lavoratori impiegati, soprattutto provenienti dall’indotto. «Nel 2017 i dati dei primi sette mesi dell’anno – ricordano ancora da Eni – mostrano che il livello di occupazione dell’indotto ha superato in media i 1.450 lavoratori (a tempo determinato ndr) rispetto ai mille previsti nel protocollo, con un trend in crescita da gennaio a giugno, mese nel quale si è raggiunta la cifra record di circa 1.600 unità». 

Andrea Turco

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