Foss, buco da 18,4 mln di euro nei conti Li Calzi: «C’era da portare i libri in tribunale»

«Un anno straordinario, ma impossibile da replicare». Il presidente del Cda della Fondazione Orchestra sinfonica siciliana, Salvatore Cincimino, lo dice subito. Ai giornalisti convocati per fare il punto sullo stato di salute dell’ente, dopo «le notizie infondate pubblicate in questi mesi sulla stampa», snocciola numeri e dati di una ricognizione delle partite contabili lunga mesi. Colpa della «mancanza di procedure certe» spiega. L’assessore regionale al Turismo, Cleo Li Calzi, si spinge oltre. «C’era da portare i libri in tribunale – dice -. Da cinque anni, in un assordante silenzio, non venivano pagati i contributi ai dipendenti. Oggi, grazie al lavoro svolto, questo spettro è stato allontanato».

«Un enorme disordine nei conti», che ha impedito nelle ultime due annualità di riscuotere le risorse nazionali del Fus. «Per prendere i contributi pubblici – spiega l’assessore – devi avere le carte in regola. Ho preteso rigore per rilanciare questa Fondazione, che nel Fondo unico per lo spettacolo non aveva una dotazione significativa». Sul passato è stata aperta «un’istruttoria di verifica approfondita, ma non tocca a noi fare i processi, il nostro compito è fare chiarezza su come sono stati usati i fondi pubblici. Purtroppo spesso nella spesa pubblica ci si imbatte in situazioni opache».

L’anno nero a un passo dal baratro ha costretto a un lavoro faticoso, «insostenibile», fatto di risparmi, che «hanno ridotto all’osso le attività». Il risultato è un bilancio di previsione con un avanzo di 654mila euro. Adesso, però, la parola d’ordine è rilanciare. E la sfida è tutt’altro che facile. Almeno a giudicare dai conti. L’ente, che vive per il 90 percento di contribuzione pubblica, potrà contare quest’anno su un piccolo “tesoretto”. Accanto agli 8,4 milioni di contributi regionali, infatti, c’è l’incremento del Fus nazionale, che passa da 450mila euro a un milione e 104mila euro. Ma la strada resta, comunque, in salita. Ammontano, infatti, a 9,2 milioni i debiti tributari e contabili che la Fondazione dovrà rimborsare con un piano di rateizzazione decennale. «Il 60 percento, ossia 85mila euro mensili in sei anni – spiega Cincimino – e il restante 40% nei prossimi 4 anni: 42mila euro al mese».

Ma all’appello mancano anche 4,2 milioni di Tfr. Soldi che in cassa non ci sono, ammette il numero uno del Consiglio di amministrazione, ma che «appena incasseremo saranno blindati, per evitare che siano stornati per altre esigenze». I debiti nei confronti dei fornitori, certificati fino al 31 dicembre del 2014, ammontano a quasi 2,5 milioni di euro e, in alcuni casi, si tratta di fatture non pagate risalenti al 2012. Ultimo capito riguarda i contenziosi, la metà dei quali con i dipendenti, pari a debiti potenziali per 2,3 milioni di euro. Tirando le somme un buco pari a 18,4 milioni di euro. «Una cifra spaventosa – ammette Cincimino -, aggravata dalla storica debolezza dell’Ente nella riscossione dei crediti, pari a 1,8 milioni».

Resta intatto il problema del personale. «Un vero esercito che dobbiamo rendere produttivo» spiega il presidente del Cda. Nella pianta organica sono previsti, infatti, 34 amministrativi, 12 tecnici e 85 orchestrali. Ai quali su aggiungono i 56 ex Pip, arruolati dal commissario straordinario per lavori di piccola amministrazione, ma che non gravano comunque sul bilancio della Fondazione. «Quando ci siamo insediati – aggiunge Cincimino – abbiamo trovato una norma delirante che prevedeva 75 amministrativi nella pianta organica. Un assetto organizzativo impensabile, non adeguato non solo ai tempi di crisi, ma neppure a un criterio di ragionevolezza». Altro nodo caldo è quello del contratto integrativo, che «va adeguato, perché ha la muffa ed è vecchio: risale alla fine degli anni Ottanta».

«Abbiamo trovato una nave piena di falle – ammette – con un livello di spesa sovraordinato rispetto alla capacità di incasso. Siamo riusciti a rattopparla e adesso sta a galla». Nel 2014 le entrate sono state pari a 410mila euro. «Abbiamo incassato 190mila dagli abbonamenti, 90mila dal botteghino, 130mila euro dall’affitto del teatro – conclude -, ma dobbiamo fare di più». «I passi fatti – conclude Li Calzi – non permettono di tornare indietro e il nostro obiettivo è dare un futuro a un’istituzione culturale, che è un patrimonio per l’intera regione. Dobbiamo correre e per poter cambiare un sistema che è stato mortificato troppo a lungo occorrono rigore e un’assunzione di responsabilità a parte di tutti. A partire dai lavoratori, che hanno già fatto la loro parte, continuando a lavorare nonostante i disagi».


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