Fallimento Cesame, ex vertici assolti dalla bancarotta Per i giudici nessuna volontà di danneggiare i creditori

Assolti dopo sei anni esatti. Era il 27 marzo del 2015 quando una delle storie imprenditoriali più note di Catania, quella della ditta di sanitari Cesame, finiva sotto la lente di ingrandimento della procura con i suoi vertici accusati di bancarotta legata al fallimento dell’azienda. Secondo l’accusa, l’allora gestore della holding Antonino Santoro e gli ex amministratori Domenico Luciani, Lorenzo Coppola e Fabrizio Brigandì avrebbero sottratto o distrutto i libri contabili della ditta per rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio aziendale, danneggiando così i creditori. Per questo, oggi, la prima sezione penale del tribunale etneo li ha assolti perché il fatto non sussiste. I quattro erano anche accusati di aver distrutto alcuni automezzi appartenenti alla Cesame e mai ritrovati: oggi sono stati scagionati per non aver commesso il fatto. Insieme a loro, la procura aveva chiesto di processare anche Luciano Monteleone, ultimo amministratore unico di Cesame prima del fallimento, romano di nascita ma residente in Brasile. La sua posizione venne stralciata in quanto irreperibile.

Ad affrontare il processo è stato invece Antonino Santoro, difeso dagli avvocati Pietro Ivan Maravigna e Alessandro Volpi, amministratore tra il 2005 e il 2007. A lui sono seguiti vari amministratori, con incarichi di breve durata, tutti accusati di avere contribuito alla bancarotta: il successore di Santoro, Domenico Luciani, difeso dall’avvocato Filippo Pino; presto affiancato nell’arco dello stesso anno da Lorenzo Coppola, rappresentato in giudizio dai legali Guido e Sergio Ziccone; a lui è subentrato per pochi mesi, nel 2008, Fabrizio Brigandì, difeso dall’avvocato Luigi Fiocchi; e infine, tra il 2008 e il 2009, anno del fallimento, l’irreperibile Luciano Monteleone.

Dopo il fallimento della Cesame – dichiarato dal tribunale a marzo del 2009 – l’accusa era convinta che avessero utilizzato il loro ruolo di vertice per rendere impossibile la ricostruzione del reale patrimonio e degli affari dell’azienda, così da mettere i bastoni tra le ruote ai creditori. In particolare, la procura lamentava la sparizione di quattro autoveicoli della Cesame e di prodotti in giacenza per un valore di più di cinque milioni di euro. Nonché la pigrizia con cui avrebbero ritardato di raccogliere – o non lo avrebbero fatto del tutto, secondo l’accusa – le quote di capitale sociale da parte dei soci. Tutte accuse da cui oggi il tribunale etneo ha assolto gli amministratori.


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