Era nell’aria da giorni ma ora arriva la conferma. Il vescovo della diocesi di Piazza Armerina, Rosario Gisana, e il suo vicario generale, Vincenzo Murgano, sono indagati dalla procura di Enna per falsa testimonianza. Lo si apprende oggi dalle pagine di Repubblica Palermo. La vicenda è una coda del processo al sacerdote ennese Giuseppe Rugolo, che si è concluso lo scorso 5 marzo con una condanna a quattro anni e sei mesi per violenza sessuale a danno di minori. «A fronte delle tante bugie emerse nel corso delle indagini e anche nelle deposizioni in aula, mi sarei aspettato che il tribunale trasmettesse autonomamente gli atti in procura. Così non è stato. Oggi apprendo che comunque la procura sta andando avanti», dice Antonio Messina, il giovane archeologo – rappresentato dall’avvocato Eleanna Parasiliti Molica – che aveva denunciato il sacerdote e al quale Gisana aveva offerto 25mila euro in contanti, dalle casse della Caritas, in cambio del silenzio. I giudici, nelle motivazioni della sentenza di condanna a Rugolo, stigmatizzano il comportamento del vescovo Gisana come atto «a facilitare l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione», mentre hanno ritenuto responsabile civile la Curia. Nel corso di una intercettazione, agli atti del processo, tra il vescovo e Rugolo, Gisana ammette di avere insabbiato i fatti.
Ora arriva la nuova inchiesta a poche settimane dall’insediamento del nuovo procuratore Ennio Petrigni e dopo l’ennesima denuncia firmata da Messina. Una vicenda lunga e oscura che parte nel 2016 quando Antonio Messina, allora minorenne, presenta un esposto alla diocesi di Piazza Armerina raccontando anni di abusi subiti da Giuseppe Rugolo. Si scoprirà poi che non era l’unico ad avere consegnato al vescovo Gisana storie simili. L’indagine previa finisce in un nulla di fatto. Rugolo non si presenta, ma si scoprirà nel suo computer, dopo il sequestro dei supporti informatici del sacerdote da parte della squadra mobile di Enna che ha condotto le indagini, che ha anche una copia della denuncia presentata da Antonio, i testimoni non si presentano e ad Antonio non viene mai rilasciata copia del verbale di udienza. Gli atti, comunque vengono trasmessi al Dicastero per la Dottrina della Fede, in Vaticano, che ripassa la palla a Gisana in quanto, secondo l’indagine ecclesiale, i fatti si sarebbero verificati quando Rugolo era ancora seminarista e, dunque, non di competenza del dicastero.
Il vescovo però, visitata la parrocchia dove Rugolo ha fondato una grande associazione con 360 giovani – tra cui le altre vittime – decide di spostare solo provvisoriamente il sacerdote a Ferrara: formalmente per una grave malattia, ma permettendogli così di completare gli studi. Intanto Rugolo scalpita per tornare ad Enna. Ma Antonio Messina, che si sente tradito per la seconda volta dalla chiesa, presenta una denuncia alla squadra mobile di Enna. Il 21 aprile del 2021 Rugolo viene arrestato ai domiciliari nel seminario di Ferrara. Sui suoi supporti informatici, i periti della procura trovano quasi 19mila accessi a siti porno con tag teen (adolescente, ndr), fatti in nove mesi: una media di 60 accessi al giorno. Il processo, lunghissimo e difficile, celebrato a porte chiuse, si è concluso con la condanna a quattro anni e mezzo a fronte della richiesta di dieci anni formulata dal pm Stefania Leonte.
Tra i numeri del caso, anche le denunce presentate da Rugolo: nei confronti di sette giornalisti – tutti quelli che hanno scritto del processo -, Antonio Messina e Francesco Zanardi, il presidente di Rete l’abuso, unica associazione italiana che si occupa di sopravvissuti agli abusi clericali. Tutte le procure hanno ritenuto infondate le querele, presentate per diffamazione e diffusione di atti procedurali, ma i legali di Rugolo si sono opposti. In quasi tutti i casi è già arrivata l’archiviazione definitiva per i giornalisti, così come per Messina e Zanardi. La difesa di Rugolo, intanto, ha presentato la richiesta di appello e si attende che venga fissata l’udienza.
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