Al fianco della dirigente medica dell'ospedale Umberto I di Siracusa si schierano i colleghi. L'infettivologa Lucia Siracusa: «Chi fa questo mestiere non può essere scettico». E anche Burioni ha detto la sua
Dottoressa positiva dopo la somministrazione del vaccino «Una coincidenza, non c’entra con l’efficacia del farmaco»
La storia di Antonella Franco, dirigente del reparto Malattie infettive dell’Umberto I di Siracusa, risultata positiva a Covid-19 pochi giorni dopo la vaccinazione, è tra le più discusse del momento. Nonostante le dichiarazioni della medica, che ha ribadito la sua fiducia nei confronti del vaccino, che lei stessa ha definito «l’unica grande opportunità che abbiamo per vincere questa battaglia», la notizia ha generato discussioni su discussioni, con gli immancabili commenti di no-vax e scettici della prima ora che non hanno perso occasione per contestare l’efficacia del prodotto dei laboratori Pfizer-Biontech.
«È stata solo sfortuna, solo una sfortunata coincidenza che l’evento vaccinazione sia arrivato in prossimità dell’evento contagio e poteva succedere a chiunque», commenta Lucia Siracusa, infettivologa che lavora nel reparto Malattie infettive dell’ospedale Di Cristina di Palermo, l’ospedale dei bambini, che come Antonella Franco è stata tra i primi operatori sanitari ad avere somministrato il vaccino. «La darei come una non notizia – continua – è presumibile che la collega si sia infettata poco prima di ricevere la vaccinazione, come lei stessa suppone, o poco dopo averla ricevuta, in un lasso temporale in cui comunque non era protetta in alcun modo. Bisogna infatti considerare anche che la protezione che il vaccino fornisce inizia non prima della decima giornata dalla somministrazione ed è in ogni caso parziale, questo è il motivo per cui è necessaria la seconda dose a tre settimane dalla prima ed è solo quella che garantisce una protezione superiore al 90 per cento, che è quella riportata in tutte le pubblicazioni scientifiche».
Una non notizia, dunque, ma che può avere un’eco pericolosa. «La positività della collega non è un evento da mettere in relazione alla protezione del vaccino, né è da pensare che il vaccino non sia efficace – continua l’infettivologa – Non bisogna trarre conclusioni sbagliate, che sono assolutamente da contrastare in un momento di terrore generalizzato e di false informazioni diffuse, in cui c’è una certa tendenza allo scetticismo, anche tra alcuni operatori sanitari». E proprio sullo scetticismo di chi con i vaccini e le cure mediche ha a che fare ogni giorno si sono espressi molti dei medici, infermieri e operatori sanitari vaccinati durante il V-day. «Il medico, l’operatore sanitario, deve dare l’esempio e deve anche infondere fiducia in un clima teso come quello che stiamo vivendo – aggiunge Siracusa – Se vedi che si vaccina un operatore sanitario, secondo me, sei anche più spinto a fare il vaccino. Io per prima ho messo la mia foto sui social e apprezzo i miei colleghi che lo fanno. I colleghi scettici sono un cattivo esempio, specie quelli che lavorano in reparti ospedalieri con pazienti a rischio. In questo caso, forse, discutere di obbligo vaccinale ha senso».
Parole a cui fa eco anche il pensiero di uno dei tecnici più esposti a livello mediatico durante la pandemia, l’immunologo Roberto Burioni. «Il vaccino anti Covid-19 non può proteggere prima di 14 giorni – scrive a mezzo social – È impossibile.
Per questo, se una persona appena vaccinata si infetta, non c’è nessuna notizia, e riportando il fatto irrilevante – amici giornalisti – generate solo confusione.
E la confusione è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questa battaglia all’ultimo sangue con il virus che ci ha rovinato la vita».